“Diamo ossigeno alle piccole Comunità”
Un patrimonio umano e culturale prezioso che nel giro di pochi anni rischia però di essere vanificato dal calo demografico. Il futuro delle piccole Comunità ebraiche, che costituiscono tanta parte dell’ebraismo italiano, si gioca su queste due opposte polarità, tra la vitalità dell’oggi e la minaccia di un prossimo declino. Ma se nulla si può fare per contrastare il decremento delle nascite e il parallelo invecchiamento degli iscritti, molto invece è possibile sul fronte delle relazioni e dell’organizzazione comune. Questo il messaggio lanciato oggi dal presidente dell’Ucei Renzo Gattegna in occasione del Moked, l’incontro dell’ebraismo italiano in corso in questi giorni a Parma. Una Comunità minuscola, una cinquantina scarsa di ebrei, location ideale per capire i modi e gli strumenti per restituire ossigeno ed energia alle tante microrealtà ebraiche italiane oggi in affanno.
Presidente Gattegna, qual è oggi la situazione delle piccole Comunità ebraiche?
Sono accomunate da un dato che continua a stupirci. Esprimono infatti tutte vitalità e capacità notevoli. Ma troppo spesso queste caratteristiche sono fondate su singoli individui che assommano su di sé tutte le competenze. E’ un aspetto ammirevole che allo stesso tempo è però motivo di forti preoccupazioni per il futuro.
Il rischio è che venga a mancare il ricambio generazionale.
Il problema centrale è di tipo demografico. Nei piccoli centri vi sono Comunità che oggi combattono per la sopravvivenza, in cui gli iscritti invecchiano e passano anni senza che vi sia un matrimonio o nasca un bambino mentre i pochi giovani si allontanano verso situazioni che offrono migliori opportunità di vita ebraica o di lavoro.
Sembra un processo irreversibile.
E’ un aspetto su cui non si può certo intervenire. Vi sono però altre prospettive da cui la questione può essere affrontata. Per questo due anni fa l’Ucei per la prima volta ha affidato a tre consiglieri – Federico Steinhaus, Gadi Polacco e Fabio Norsa – l’incarico di mantenere i contatti con le piccole Comunità così da recepirne le istanze e risolvere eventuali problemi di funzionamento. E’ una decisione che di per sé non può risolvere situazioni di crisi. Ma può contribuire ad evitare che si disperda l’immenso patrimonio culturale rappresentato dalla piccole realtà.
Cos’è stato fatto in questi due anni?
C’è stato uno scambio molto più intenso del passato, attraverso contatti, viaggi, incontri. Personalmente ho visitato quasi tutte le piccole Comunità conoscendone i dirigenti. Questo ci ha permesso di conoscere in modo più diretto e partecipato le diverse situazioni.
Da questi scambi sono emerse nuove prospettive?
Una via per evitare dispersioni di risorse, sia umane sia economiche, potrebbe passare attraverso una razionalizzazione della struttura. Un articolo dello statuto Ucei prevede, da oltre dieci anni, che le Comunità possano consorziarsi così da mantenere servizi culturali e amministrativi che soddisfino un ambito più ampio, ad esempio regionale. Si tratta di una decisione che va assunta dalle stesse Comunità e che non può certo partire dall’Ucei. In ogni caso, per facilitare eventuali processi aggregativi, in vista del prossimo Congresso stiamo preparando una commissione per la riforma dello statuto.
E in attesa di possibili consorzi su base regionale?
Da tempo siamo impegnati nella costruzione di una rete di scambi capace di andare al di là della dimensione comunale in cui vivevano tante piccole Comunità. Per questo è stato messo a punto un progetto informativo che mantiene uno stretto dialogo con le diverse realtà attraverso la newsletter e la rassegna stampa spedite ogni giorno agli iscritti e il portale moked. Quest’ultimo non è uno strumento d’informazione a senso unico. Ma prevede la partecipazione in forma diretta delle diverse Comunità che possono gestire il loro sito in prima persona e in forma autonoma, contribuendo anche all’informazione nazionale. E’ un modo di combattere la solitudine delle realtà più piccole e di costruire insieme nuovi contributi. Intanto avanza il progetto per mettere in comunicazione in tempo reale tutte le Comunità italiane attraverso una rete informatica che oggi consente di mettere on line le lezioni del Collegio rabbinico e domani permetterà videoconferenze, riunioni a distanza ed esperienze didattiche tra le diverse scuole ebraiche.
Il futuro potrebbe dunque vedere nell’ebraismo italiano una minore frammentazione della vita e delle relazioni.
La speranza è questa. Ma al tempo stesso dobbiamo puntare alla sprovincializzazione e all’allargamento dei nostri confini. L’ebraismo italiano è una realtà molto ridotta dal punto di vista numerico che deve coltivare collegamenti e scambi, oggi ancora scarsi dal punto di vista istituzionali, con le Comunità ebraiche europee e statunitensi e con Israele. Credo sia questa una delle vie principali per rivitalizzare il nostro tessuto e proiettarci davvero nel futuro.
Daniela Gross