Le leggi razziste del 1938, una tragedia italiana. Documenti e testimonianze a 70 anni di distanza

Un lungo tunnel oscuro e costellato di documenti inquietanti, di memorie tormentate, di fatti che trascinarono l’Italia nel disonore e nella rovina.’Le leggi razziali. Una tragedia italiana’, la mostra inaugurata nella Capitale al Vittoriano in occasione dell’anniversario dei 70 anni delle leggi razziste volute nel 1938 dalla dittatura e sottoscritte da Re Vittorio Emanuele III.
Al termine del percorso, che è dedicato ai giovani e agli studenti, ma presenta documenti ancora inediti o poco conosciuti di grande interesse anche per gli storici, la terribile frase di Shlomo Venezia, un deportato italiano che sopravvisse all’orrore dei campi di concentramento: “L’inferno, qualsiasi persona lo conosce dai libri. Noi lo abbiamo vissuto”.
“Questo è il modo in cui la nostra democrazia, che è forte, riflette sugli errori del passato. Un modo per fare un mea culpa su questa pagina fosca e tragica nella storia italiana”: in questo modo Sandro Bondi, ministro dei Beni Culturali, ha commentato l’esposizione in occasione dell’inaugurazione. “Si tratta di una rassegna – ha aggiunto il ministro – che prima di tutto “vuole mantenere viva la memoria e non dimenticare una delle pagine più vergognose della nostra storia”. Mi auguro sia visitata – ha concluso Bondi – da tanti giovani e da numerosi cittadini.
La mostra resterà aperta fino al febbraio del 2010, si compone di tre sezioni che ripercorrono gli inizi e lo svolgimento delle leggi razziali e delle persecuzioni fino alla deportazione degli ebrei italiani. “Non vogliamo sia una mostra per gli specialisti – ha aggiunto il Presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche Italiane Renzo Gattegna, ma che abbia una grande capacità di comunicare con il pubblico più giovane”. Il ministro, prima dell’inaugurazione, ha visitato la mostra accompagnato da Marcello Pezzetti.
La mostra è organizzata sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica con il patrocinio del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati ed è promossa dal ministero per i Beni e le Attività Culturali, in collaborazione con l’Ucei, la Fondazione Museo della Shoah — Roma e Museo Nazionale dell’Ebraismo e della Shoah — Ferrara, con la partecipazione dell’assessorato Politiche Educative Scolastiche della Famiglia e della Gioventù del Comune di Roma.
All’inaugurazione Bondi era accompagnato dal Presidente Ucei Renzo Gattegna, dal curatore Marcello Pezzetti, dal delegato del ministro Bruno Vespa e dal coordinatore generale Alessandro Nicosia.
Testimonianze, filmati inediti, documenti originali, riviste, fotografie, lettere, diari, registri scolastici e oggetti di vario genere. La mostra racconta ciò che accadde tra il 1938 e il 1945: dalla revoca dei diritti civili fino alla deportazione.
Gli avvenimenti e le conseguenze legati all’attuazione delle leggi razziali del 1938 su scala nazionale gettano una delle ombre più buie nella storia dell’Italia.
Preceduta da una martellante propaganda e da un censimento volto a individuare gli appartenenti alla cosiddetta “razza ebraica”, l’emanazione delle leggi del 1938 portò a una crudele esclusione dei cittadini italiani ebrei dalla vita in un Paese di cui, fino ad allora, erano stati una componente attiva.

Sette anni di storia segnati da eventi drammatici che a distanza di 70 anni propongono ancora nuovi interrogativi. L’esposizione è realizzata in tre sezioni, precedute da un “prologo” dedicato al ruolo svolto dalla minoranza ebraica nell’Italia unita, in particolare durante il primo conflitto mondiale. Compaiono innumerevoli volti di persone ritratte in momenti della vita quotidiana, volti di cittadini perfettamente integrati nel tessuto connettivo nazionale. Nella prima sezione, relativa al fascismo tra gli anni Venti e Trenta, sono inserite le vicende degli ebrei in Germania, dall’arrivo al potere di Hitler alla “Notte dei cristalli”. La seconda è interamente dedicata alle Leggi razziali. Ricca di materiale non ancora noto offre uno sguardo approfondito su tre ambiti della società italiana che sono stati violentemente colpiti dall’applicazione delle disposizioni governative: lo sport, la cultura e la scuola. L’ultima prende in considerazione le conseguenze della persecuzione: gli arresti e lo sterminio, avvenuto prevalentemente nel centro di messa a morte di Auschwitz-Birkenau. Per la prima volta il grande pubblico potrà conoscere le rare immagini dei due film più antisemiti che il nazismo ha prodotto e di cui il governo fascista ha fatto circolare in gran parte delle sale del Paese una versione in lingua italiana: Jud Suess (Suss, l’ebreo) e Der ewige Jude (L’eterno ebreo).
La mostra si avvale dei prestiti di materiale di proprietà di prestigiosi archivi nazionali italiani, tedeschi e delle Comunità ebraiche, così come dal contributo di collezionisti privati.
L’esposizione resterà aperta con ingresso gratuito dal lunedì al giovedì 9.30 —18.30; venerdì, sabato e domenica 9.30 — 19.30 fino al prossimo 22 febbraio.
(informazioni allo 0669202049)

Ecco alcuni degli interventi introduttivi degli intervenuti:

L’antisemitismo, che sottotraccia caratterizza la politica fascista fin dagli inizi, trovò orrendo sbocco nel 1938: il 14 luglio, veniva infatti pubblicato il Manifesto del razzismo italiano. Un decalogo che a settant’anni di distanza mantiene inalterata la sua diabolica consistenza: 1) Le razze umane esistono; 2) Esistono grandi razze e piccole razze; 3)11 concetto di razza è concetto puramente biologico; 4) La popolazione dell’Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà è ariana; 5) È una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici; 6) Esiste ormai una pura “razza italiana”; 7) È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti; 8) È necessario fare una netta distinzione tra i mediterranei d’Europa (occidentali) da una parte, gli orientali e gli africani dall’altra; 9) Gli ebrei non appartengono alla razza italiana; 10) I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo. Il 6 ottobre dello stesso anno venne promulgata dal Gran Consiglio del Fascismo, la Carta della Razza che poneva le nefaste basi legislative della campagna antisemita. Il 10 novembre seguente il Consiglio dei Ministri traduceva infine la Carta in una vera e propria legislazione approvata dal parlamento e sottoscritta da Vittorio Emanuele III. Il Regio decreto- legge del 17 novembre completò l’orribile operazione riassumendo in 29 articoli il nuovo status giuridico degli ebrei che fino a quel momento avevano contribuito nel campo della letteratura, delle arti liberali, delle scienze a far grande il nostro Paese. Nello specifico, 11 Regio-decreto prevedeva il divieto di matrimoni misti, l’identificazione dell’appartenenza alla razza ebraica, i divieti imposti agli ebrei (per esempio quello di non poter avere «alle proprie dipendenze in qualità di domestici cittadini italiani di razza ariana»), il divieto per le Amministrazioni pubbliche civili e militari di avere personale ebreo.
La campagna antiebraica, purtroppo, trovò fin dall’inizio ligi sostenitori e addirittura si inasprì nel periodo della Repubblica Sociale Italiana quando la guerra civile sconvolse il nostro Paese minando perfino i rapporti tra fratelli, parenti, amici. 1116 ottobre 1943 si scatenò anche in Italia la violenza nazista: un sabato di diluvio, quasi una tregenda, in otto ore e mezzo, dalle cinque e trenta del mattino alle due del pomeriggio, un gruppo di SS rastrellarono il Ghetto di Roma, deportando verso il campo di sterminio di Auschwitz più di mille ebrei, uomini, donne, bambini.
La pubblicazione delle Leggi Razziali, la loro applicazione, l’inasprimento del trattamento degli ebrei durante i mesi della guerra e poi della Rsi, fino alla sottomissione irresponsabile alla diabolica macchina di sterminio nazista con le deportazioni, non possono che dimostrare, al di là degli iniziali accomodamenti e strategie di nascondimento, una precisa volontà antisemita del regime fascista. Che oggi è assolutamente impossibile giustificare o tentare di nascondere.
Più in generale l’applicazione delle Leggi razziali fu permessa da un generale ottundimento degli italiani che in buona parte, per quieto vivere, non si esposero troppo a favore degli ebrei, salvo figure e istituzioni di grande valore morale e spirituale. In seguito, il fallimento parziale della campagna razzista che, pur mietendo migliaia di vittime, non raggiunse mai la follia di quella nazista permise addirittura a quella parte di cittadinanza ignava, la cosiddetta zona grigia, di costituirsi “un comodo alibi — come scrive Renzo De Felice nella sua “Breve storia del fascismo” – dietro cui nascondere il proprio opportunismo e tacitare eventuali rimorsi di coscienza”.

E questo se vogliamo è la cosa più grave: primo, la dimenticanza dei fatti, secondo, la rimozione della colpa. Al contrario, la mostra “Leggi razziali. Una tragedia italiana” tanto intensa soprattutto nella sua volontà didattica è un piccolo ulteriore tassello per la ricostituzione di una memoria collettiva dopo decenni in cui non è stato possibile, per motivi ideologici, arrivare alla definitiva comprensione dei processi che barino condotto a questa aberrazione.
Solo sulla reale metabolizzazione della propria storia e dei propri errori, si può però fondare una nazione veramente democratica, aperta, in cui i valori fondanti siano condivisi da tutti, in cui i diritti fondamentali siano garantiti per tutti.

Sandro Bondi
Ministro per i Beni e le Attività Culturali

Le leggi antiebraiche del 1938-39 Furono lo strumento giuridico che permise la completa emarginazione degli ebrei dalla vita civile italiana e rese formalmente legittimo un antisemitismo estraneo alla cultura e ai sentimenti di gran parte del Paese. Per gli ebrei italiani, piccola minoranza che si era identificata con la causa risorgimentale e nazionale, quelle leggi furono il tradimento dello Stato alla cui nascita avevano contribuito e per il quale molti avevano combattuto. Quelle leggi furono all’origine di discriminazioni e umiliazioni che trasformarono gli ebrei italiani da cittadini in perseguitati.
Non dobbiamo mai dimenticare, quando prendiamo in esame le leggi antisemite del ‘38 e le liste degli ebrei che furono burocraticamente compilate in attuazione di quelle stesse leggi, che quello fu l’inizio della suprema infamia della persecuzione, con tutto ciò che ne seguì; tra le leggi e il successivo sterminio c’è una diretta continuità.
La memoria è un cemento fondamentale per tutti i popoli, in particolare per gli ebrei. Ma occorre ricordare che è rischioso fondare la propria esistenza solo sul passato. È scritto nella Torah, al capitolo 30 del Deuteronomio: “Guarda, io ho posto davanti a te oggi la vita e il bene, la morte e il male… tu scegli la vita”. Noi abbiamo scelto la vita. La caduta della dittatura fascista, la riconquista della libertà, la Costituzione repubblicana e la vita democratica del nostro Paese ci consentono oggi di essere una minoranza piccola ma simbolica all’interno della società italiana, ben integrata e rispettata, con le proprie tradizioni e con la propria specificità religiosa e culturale. A settanta armi di distanza quelle leggi ci appaiono lontane, assurde, estranee alla nostra cultura e alla nostra coscienza democratica. Ormai appartengono al passato, sono parte di una delle pagine più buie della storia del nostro Paese.
Nel mondo scientifico, nelle università, nelle scuole, tanti sono impegnati nello studio delle origini e delle cause di quelle discriminazioni, per spiegare ai giovani l’infamia, l’assurdità e l’inutilità.
Desidero esprimere il più vivo ringraziamento al Ministro per i Beni e le Attività Culturali, ai curatori, ai consulenti scientifici, agli organizzatori, a quanti hanno promosso e collaborato alla realizzazione di questa mostra, allestita in una sede prestigiosa come il Complesso del Vittoriano a Roma.
Mi auguro che la mostra possa essere visitata da molti giovani perché le leggi antiebraiche di settanta anni fa appartengono al passato, ma costituiscono ancora oggi un monito contro l’antisemitismo, contro il razzismo, contro il pregiudizio, contro l’indifferenza. Un ricordo e un ammonimento di cui la società, ogni società, ha costantemente bisogno.

Renzo Gattegna
Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

Il 6 settembre 1934, inaugurando a Bari la Fiera del Levante, Benito Mussolini visitò il padiglione ebraico. Fu accolto da questa scritta: “Per merito della rinascita sionistica sorge in Palestina una generazione ebraica sana e forte”. Due anni prima, il 27 ottobre 1932 (decimo anniversario della Marcia su Roma), il giornale della comunità ebraica “Israele” scriveva: “Dopo dieci anni di regime fascista il ritmo spirituale della vita ebraica in Italia è più intenso di prima”.
Si è molto discusso negli ultimi decenni sulla data di inizio dei sentimenti razzisti e antiebraici di Mussolini, ma è un fatto che, quando Hitler pubblicò il 29 marzo 1933 il suo feroce proclama antiebraico, il rabbino capo di Roma Angelo Sacerdoti corse dal Duce per essere rassicurato e Chaim Weizmann, fondatore del “Focolare ebraico” in Palestina, lo incontrò ripetutamente nei momenti di emergenza e a Londra definì l’Italia “l’unico paese che ha largamente aperto le porte delle sue scuole agli studenti ebrei, ciò che dimostra la generosità del governo fascista”. È noto che le cose volsero rapidamente verso la tragedia per cause tuttora controverse e comunque in pochissimo tempo. Sta di fatto che l’uomo che ancora nel ‘34 voleva fermare il “degenerato sessuale, il pazzo pericoloso” che aveva fatto assassinare il premier austriaco Dollfuss, nel ‘37 ne era diventato il tragico zerbino. Eppure ancora nel luglio di quell’anno, Mussolini rispondeva agli ebrei d’America: “Le loro preoccupazioni per i fratelli viventi in Italia non hanno luogo di essere, ma sono frutto di malevole interpretazioni”.
Ne] ‘38 tutto precipitò in poche settimane. A maggio Hitler venne in Italia, in giugno arrivarono gli esperti dell’ufficio nazista per la razza, il 14 luglio il governo fascista divulgò il “Manifesto della razza” (“Gli ebrei non appartengono alla razza italiana…”), il I settembre furono approvate le leggi razziali, il 6 ottobre il Gran Consiglio decise la persecuzione degli ebrei con i risultati devastanti che conosciamo.
Questa mostra, oltre a ricostruire i passaggi storici che hanno portato all’immane tragedia, si propone di far riflettere i visitatori — e soprattutto i giovani — su quanto sia mostruoso da un giorno all’altro cambiare la vita di milioni di persone in Europa e di cinquantamila in Italia (vivevano qui anche diecimila stranieri) senza ragione alcuna se non un odio patologico e del tutto immotivato.
Per fermarci a casa nostra, gli ebrei perseguitati erano in larghissima parte italiani a tutti gli effetti. Per metà studenti, casalinghe, pensionati che avevano con onore servito il Paese. Duemila impiegati. Seimila commercianti e imprenditori. Un migliaio di medici e avvocati. Gente comune, militari che s’erano battuti valorosamente nella Prima guerra mondiale. Molti erano fascisti. Dunque? Nel giro di poche ore furono bollati come “diversi”: espropriati dei beni e degli affetti, umiliati dalle crudeli, misere requisizioni (“Confiscati a Verona dieci cappelli e una camicia usata”), espulsi da ogni tipo di relazione con gli “ariani”. Scrivanie e banchi di scuola si vuotarono all’improvviso e senza una ragione riferibile. Negozi chiusi. Impieghi cessati. Famiglie distrutte da miseria ed emarginazione. Abbiamo ricostruito la classe ideale di una scuola degli anni Trenta. Tra i banchi ce n’è uno nero. Può essere unì simbolo di questa mostra, della vergogna di cui ci macchiammo settant’anni fa, di quanto mai più dovrà accadere nei confronti di qualunque razza, nazionalità, religione.

Bruno Vespa

Nel corso del Risorgimento gli ebrei italiani erano entrati a far parte della storia nazionale da uguali, apportando la propria ricchezza di fermenti e contraddizioni sociali, culturali, economici. A seguito dell’ascesa del fascismo essi videro il progressivo deteriorarsi della condizione di pari dignità delle religioni, la progressiva diminuzione degli incarichi pubblici di rilievo, la crescita dell’antisemitismo e della sua legittimazione politica. In Germania, con l’avvento al potere di Adolf Hitler, nel 1933 l’antisemitismo su basi biologiche divenne dottrina di Stato. Dalle prime misure persecutorie si arrivò, nel 1935, alla promulgazione delle “Leggi di Norimberga”, che sancirono l’annullamento dell’emancipazione conquistata con difficoltà nell’800 e che posero le basi per il successivo sterminio fisico.
Nel 1938 anche il Governo fascista del Regno d’Italia decretò l’inizio di una persecuzione generalizzata, pur in modo autonomo, con il varo di un corpus dileggi antiebraiche a impostazione “razzistico-biologica”. La loro stesura era stata decisa, orientata e seguita dal dittatore Benito Mussolini. Negli anni seguenti le leggi vennero affiancate da un’irrefrenabile quantità di atti amministrativi (le ‘circolari’), che estesero esclusioni e divieti agli ambiti più minuti della società.
Questa fase dell’antisemitismo fascista travolse le vite scolastiche, lavorative, sociali degli ebrei. Essa fu caratterizzata dall’uso dello strumento legislativo e da un lievissimo tasso di violenza fisica. Questo periodo della persecuzione dei diritti degli ebrei proseguì per cinque anni.
L’S settembre 1943 subentrò il periodo della persecuzione delle vite: sulla base di semplici ordini di polizia, prima le forze dell’occupante tedesco e poi anche quelle della Repubblica sociale italiana dettero la caccia agli ebrei, destinati al centro di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Tra il luglio 1943 (in Sicilia) e l’aprile 1945 gli Alleati e poi anche la Resistenza posero finalmente termine alle leggi antisemite e soprattutto alle deportazioni e alle uccisioni.
Questi sono i temi che proponiamo alla pubblica riflessione nella nostra esposizione, che abbiamo diviso in tre sezioni, preceduta da un “prologo” dedicato al ruolo svolto dalla minoranza ebraica nell’Italia unita, in particolare durante il primo conflitto mondiale. Qui compaiono innumerevoli volti di persone ritratte in momenti della vita quotidiana, volti di cittadini perfettamente integrati nel tessuto connettivo nazionale. Nella prima sezione, relativa al fascismo tra gli anni Venti e Trenta, sono inserite le vicende degli ebrei in Germania, dall’arrivo al potere di Hitler alla “Notte dei cristalli”. La seconda è interamente dedicata alle Leggi razziali; ricca di materiale inedito, offre uno sguardo approfondito su tre ambiti della società italiana che sono stati violentemente colpiti dall’applicazione delle disposizioni governative: lo sport, la cultura e la scuola. L’ultima parte prende in considerazione le conseguenze della persecuzione: gli arresti e lo sterminio, avvenuto prevalentemente nel centro di messa a morte di Auschwitz-Birkenau.
Per raccontare la storia di “questa” Italia abbiamo fatto alcune scelte. Abbiamo attribuito grande evidenza alle immagini della propaganda fascista, prima di tutto a quelle antisemite, tratte in particolare dalla rivista “La Difesa della Razza” — che per la prima volta viene esposta interamente —‘ ma poi anche a quelle relative al razzismo nei confronti dei neri, poco conosciute e di rado messe in mostra. Uno spazio particolare e significativo è stato dedicato anche all’antisemitismo tedesco. Anche se la persecuzione antiebraica in Italia è stata frutto di una scelta “autonoma” da parte del regime fascista, la “lotta biologica” scatenata dai nazisti contro gli ebrei in Germania ha preceduto quello che sarebbe avvenuto nella nazione italiana, che di fatto sarebbe diventata l’alleato più importante della Germania nazista, risultandone l’esempio da seguire e alla cui propaganda antisemiti “nostrani” avrebbero fatto riferimento. Le vicende italiane e tedesche, infine, si sarebbero intrecciate indissolubilmente nel periodo delle deportazioni.
Grande rilievo in tutta l’esposizione è stato dato alle immagini cinematografiche, sia a quelle dell’epoca, dell’Istituto Luce e tedesche — va ricordato che Mussolini, come Goebbels, riteneva che la cinematografia fosse “l’arma più forte” —, sia a quelle realizzate con le testimonianze degli ebrei perseguitati.

Per la prima volta si è scelto di far conoscere al grande pubblico le rare immagini dei due film più antisemiti che il nazismo ha prodotto e di cui il governo fascista ha fatto circolare in gran parte delle sale del paese una versione in lingua italiana: Jud Suess (Suss, l’ebreo) e Der ewige Jude (L’eterno ebreo). Abbiamo inoltre focalizzato la situazione degli ebrei soprattutto in due luoghi: Roma, per il fatto di essere la capitale e la sede della Comunità ebraica più consistente, e Trieste, per il fatto di essere, con Fiume, di recente ingresso nello Stato italiano e di ospitare il maggior numero di ebrei stranieri. Naturalmente ciò che accadde in queste due città avvenne anche nelle altre città della penisola.
Abbiamo infine deciso di non inserire la storia della persecuzione degli ebrei di Rodi e Kos, anche se, come cittadini italiani, furono colpiti anch’essi dalle Leggi e poi deportati ad Auschwitz. La loro vicenda avrebbe bisogno di una narrazione specifica e approfondita a cui dovrebbe essere dedicata un’intera esposizione.

Marcello Pezzetti, storico

Amos Luzzatto, autore di numerosi testi sulla questione ebraica ed ex Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, ha ribadito che la prima violenza — giuridica — nei confronti degli ebrei si manifestò agli albori del Sacro romano impero quando fu loro vietato di possedere terre ed assumere al loro servizio contadini cristiani. In tal modo gli ebrei furono praticamente esclusi dall’agricoltura, che costituiva la fonte principale della produzione di ricchezza e di conseguenza furono allontanati anche dai luoghi del potere. La “società ebraica” fu insomma condannata a seguire un percorso profondamente diverso da quelle del resto della società. A partire da allora non ci furono né agricoltori, né possidenti né latifondisti ebrei.
Amos Luzzatto ha perfettamente ragione, vorrei tuttavia aggiungere che proprio a causa di quel divieto imperiale gli ebrei diventarono più moderni degli altri e che proprio a causa di questa loro diversità e modernità, furono braccati e assassinati in massa nel XX secolo, allorché la civiltà agricola cominciò a finire. Gli ebrei furono giudicati la quintessenza di quella modernità che stava distruggendo la civiltà agricola, una civiltà durata ben diecimila anni.
Non per caso, il feroce antisemitismo hitleriano ebbe inizio all’indomani della Prima guerra mondiale (terminata nel 1918) proprio perché nel corso di quella guerra i moderni mezzi della distruzione di massa prodotti dalla nuova società industriale, vale a dire i cannoni di grosso calibro, gli aerei da caccia, i bombardieri e i gas asfissianti avevano sconvolto l’Europa. La modernità stava già cominciando a rivelare i suoi aspetti negativi, poiché non esiste nulla di buono al mondo che non abbia anche aspetti negativi. La modernità garantiva un più elevato grado di libertà e di democrazia, maggior benessere materiale e medicine capaci di salvare molte vite, ma distruggeva la civiltà agricola.
Agli ebrei era stato impedito di entrare in quella civiltà, Essi erano dunque sopravvissuti grazie ad attività più moderne come il commercio e le banche (che i banchieri erano semplicisticamente considerati usurai). Gli ebrei avevano inoltre subito una grande diaspora a causa delle continue persecuzioni e costituivano quindi una grande comunità internazionale la quale anticipava la moderna società globalizzata. Erano stati costretti a diventare “diversi”, rinchiusi nei ghetti, le cui porte si chiudevano ogni sera, all’interno di città murate con porte che anch’esse venivano sprangate ogni sera. L’epoca premoderna era difatti un’epoca profondamente illiberale. La condizione degli ebrei migliorò dopo la Rivoluzione francese.
A Livorno, in verità, essi ebbero sempre una storia a parte grazie al clima di tolleranza instaurato con lungimiranza daI governo dei Medici.
A Livorno non ci fu mai un ghetto, ma in Italia, più in generale, i ghetti ebraici cessarono, soltanto con la proclamazione dell’Unità, e — a Roma — soltanto dopo la caduta del potere temporale dei papi, vale a dire dopo il 20 settembre 1870. La diversità degli ebrei oltre che dai fattori religiosi, dipese dal fatto che essi erano dotati di una istruzione e di una cultura superiore a molti altri considerando che, in quella civiltà contadina composta in larga misura da analfabeti, i bambini ebrei, viceversa, imparavano a leggere e a scrivere fin dall’età di tre anni. I privilegi accordati agli ebrei di Livorno dal governo mediceo, contribuirono ad arricchire la città grazie agli scambi commerciali con l’Africa settentrionale, dove esistevano consistenti colonie ebraiche, con le quali i livornesi allacciarono rapporti. I commerci declinarono dopo il 1830, vale a dire dopo che i francesi occuparono l’Algeria, provocando una guerriglia che durò trent’anni.

Ho l’impressione che, mentre oggi molti sono pronti a condannare lo sterminio degli ebrei, pochi si rendano conto che essi furono portatori di modernità e che proprio per tale ragione diventarono invisi ai feroci antisemiti antimoderni del )(X secolo. La modernità merita invece di essere capita, amata e corretta anche perché è ormai irreversibile.

Piero Melograni, Storico

Tra le tante attività che il nostro gruppo ha organizzato, numerose sono le mostre promosse in occasione di celebrazioni di centenari, decennali, dedicate a ricorrenze di fatti e avvenimenti storici, o per ricordare grandi personaggi che hanno segnato la storia dell’umanità. La mostra sulle Leggi Razziali trova nel settantesimo anniversario dalla loro promulgazione l’occasione per ricordare grazie a un grande evento espositivo un argomento talmente tragico che supera la circostanza della semplice ricorrenza: ognuno di noi dovrebbe impegnarsi a ricordare annualmente, mensilmente, sempre, una delle pagine più buie e dolorose nella storia del nostro Paese.
Uno degli impegni principali di una realtà museale, nel momento in cui viene coinvolta in una intrapresa così importante, è quello di elaborare e proporre gli eventi trattandoli con il massimo rigore scientifico, senza tralasciare le finalità divulgative e di coinvolgimento del grande pubblico, così come delle giovani generazioni, al fine di offrire esperienze efficaci, forti, avvolgenti. Non possiamo infatti mai credere di sapere, di conoscere abbastanza. L’interesse e il sapere vanno rivolti anche verso gli aspetti più scomodi, più dolorosi, più vergognosi del nostro passato, remoto e recente, perché la storia ciclicamente ci insegna che l’orrore sembra non avere un limite e sempre con un obiettivo preciso:
imparare da questo passato, da pagine così oscure, affinché non si ripetano gli errori commessi. Raccontare attraverso un progetto espositivo una piaga così terribile — di cui l’umanità porterà indelebilmente le cicatrici — non era davvero un compito facile.
È stato per me motivo di grande soddisfazione aver potuto mettere la mia ventennale esperienza nel settore dell’organizzazione di mostre a disposizione di questa intrapresa ma soprattutto di aver potuto collaborare con due curatori di straordinario prestigio e di grande preparazione quali Marcello Pezzetti e Bruno Vespa, così come di due belle intelligenze come quelle di Cina Ingrassia e Sara Berger. L’obiettivo portante e condiviso da tutti noi era che la mostra potesse essere uno strumento di comunicazione capace di far interagire materiali originali, testimonianze e oggetti con momenti di forte impatto emozionale, mantenendo quel rigore scientifico e quella forte lucidità intellettuale che il tema richiedeva. A tal fine sono state individuate forme di coinvolgimento in linea con le più moderne logiche espositive, atte a poter far meglio comprendere in questa circostanza la vastità dell’atrocità commessa.
Credo che questo sia il solo modo in cui una mostra possa assolvere al suo compito, cioè rendere in uno spazio fisico, in un grande evento partecipativo, una dimensione che sia ad un tempo rigorosa testimonianza storica e intenso stimolo emozionale, rimanendo comunque sempre momento di riflessione, dì memoria. Un ringraziamento a quanti hanno reso possibile la realizzazione di una intrapresa di così grande spessore, al Ministero per i Beni e le Attività Culturali e all’Ucei – Unione Comunità Ebraiche Italiane, ai sostenitori, e a quanti a vario titolo hanno contribuito a raggiungere questo risultato. Un ringraziamento particolare al Ministro Sandro Bondi che con tanta sensibilità ci ha costantemente seguito in questi mesi di preparazione della mostra.

Alessandro Nicosia, Presidente di Comunicare Organizzando