L’infamia del 1938: i silenzi e i ripensamenti della Chiesa
Un’affermazione di Gianfranco Fini alla Camera il 16 dicembre scorso continua a sollevare polemiche. Vediamo cosa ha detto: “Alla legislazione antiebraica […], salvo talune luminose eccezioni, non [si sono] registrate manifestazioni di particolare resistenza. Nemmeno da parte della Chiesa cattolica”. Tali parole quindi concernono le leggi antiebraiche, non il razzismo o l’antisemitismo in quanto tali, nonché una “resistenza particolare”, non una semplice disapprovazione. E la “luminosità” di alcuni non esclude il loro essere fedeli cattolici o esponenti cattolici Ascoltando quelle parole, mi sono tornate in mente delle altre parole, scritte sul fascicolo del 20 settembre 2008 della Civiltà Cattolica da Giovanni Sale: “Per motivi prudenziali la Santa Sede però organizzò il suo attacco contro la nuova legislazione discriminatoria non facendo riferimento a motivazioni di ordine ideale, fondate sul diritto naturale – come, ad esempio, il diritto di tutti gli uomini a non essere discriminati per motivi di razza o di religione, allo stesso modo in cui in diverse occasioni aveva fatto Pio XI –, ma facendo leva sul proprio armamentario giuridico” (pag. 468). Di là da alcune diversità, mi sembra che non vi siano vere e proprie divergenze tra Sale e Fini (né tra loro due e le interpretazioni della maggior parte degli storici): non vi furono terzi impegnati nella difesa dei diritti degli ebrei (conculcati dal fascismo). Quindi perché le polemiche di questi ultimi giorni, condotte anche dallo stesso Sale?
Michele Sarfatti, direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – Milano