continuità/Chouraqui
“…chi cammina per la strada studiando e interrompe e dice: come è bello questo albero!, come è bello questo solco!, è considerato come uno che mette in pericolo la propria persona…” Pirqè Avòt, 3; 9. Da questa situazione un po’ estrema che la Mishnah ci prospetta, nella quale vi è un’irruzione dell’estetica nell’etica, si evince come lo studio della Torah deve costituire una continuità “in cammino” che proibisce ogni forma di interruzione. Lo sviare lo sguardo durante il nostro percorso può risultare una distrazione fatale per la continuità dei nostri progetti. Apparentemente questo insegnamento potrebbe indurci a concludere che anche un certo amore per la natura debba essere escluso dall’universo ebraico. Niente affatto. Sembra piuttosto emergere come l’impegno nella Torah non può essere scambiato con il senso di una contemplazione estetica. Ne risulta che dell’ebraismo non possiamo accogliere solo ciò che ci piace. Più che un dovere o un obbligo la Torah costituisce una condizione esistenziale di dinamismo e continuità tesa a scuotere il soporifero corso della vita naturale.
Roberto Della Rocca, rabbino
Dalla corrispondenza di André Chouraqui (in uscita presso le edizioni Paoline di Roma: un volume di grande interesse e suggestione): “Mi sono rivolto a voi (sta scrivendo a Jacques Maritain, nel 1969) per farvi ascoltare il grido di questo popolo ferito da troppa saggezza o troppa prudenza da parte degli stessi, i cristiani, che dovrebbero meglio capire il significato spirituale della nostra rinascita e che potrebbero forse non lavarsi le mani della nostra sorte e non condannarci con troppa fretta, mentre il silenzio è così pesante quando siamo noi stessi condotti al macello o minacciati di esserlo”. Parole dense di significato, di storia e di presente
Elena Loewenthal, scrittrice