Il boicottaggio e l’antisemitismo
Nella storia tragica e grottesca dell’antisemitismo riaffiora periodicamente la minaccia del boicottaggio socioeconomico: contro i negozi degli ebrei e contro l’acquisto di prodotti provenienti da Israele, senza dimenticare il numerus clausus degli studenti ebrei e certe mozioni contro le università israeliane. Oltre a essere mediocre moralmente, oggi questa idea è deficiente sul piano operativo, risultando in una perdita da parte di chi la propone. Vediamo per esempio la Bilancia dei pagamenti di Israele nei confronti dei maggiori paesi. Se l’Unione Europea cessasse di acquistare da Israele, come qualcuno ha suggerito in questi giorni, Israele perderebbe 16 miliardi di dollari. Ma se Israele, per ritorsione o per carenza di fondi, cessasse di acquistare dall’Unione Europea, risparmierebbe 20,7 miliardi di dollari, ossia 4,7 miliardi di dollari in più. Se per ipotesi cessassero i rapporti bilaterali con Israele, la perdita secca annua sarebbe di un miliardo di dollari per l’Italia, 1,6 per la Germania, 1,1 per il Giappone, 2,4 per la Cina. Il disavanzo commerciale di Israele, dovuto alla scarsità di risorse naturali, ma compensato dalle forti capacità inventive e produttive, costituisce dunque una sovvenzione all’economia dei maggiori paesi. Per gli Stati europei e asiatici boicottare Israele sarebbe autolesionista. Negli Stati Uniti invece, nonostante il forte eccedente delle vendite di Israele rispetto agli acquisti, l’idea del boicottaggio non sembra proponibile.
Sergio Della Pergola, demografo, Università Ebraica di Gerusalemme
(nell’immagine: 1933 a Lipsia, i nazisti lanciano il boicottaggio delle merci vendute da ebrei)