Un rabbino, un gatto indiscreto e le antitesi di un maestro del fumetto
Può un gatto celebrare il Bar Mitzvah? È questo il filo conduttore, il dilemma, il gioco narrativo che accompagna il primo episodio della serie Il gatto del rabbino del francese Joann Sfar. Il rabbino di una città del Nord Africa ha due animali, un gatto sempre taciturno e un pappagallo che parla sempre. Il gatto vorrebbe passare il tempo con la figlia del Rabbino, così un giorno finisce per mangiarsi il pappagallo. Niente di strano che un gatto si mangi un uccello, ma ecco fatto il gatto inizia a parlare. Ne segue un confronto dialettico tra due rabbini e lo stesso animale che cerca in tutti i modi di convincerli che può celebrare il Bar Mitzvah. Ma l’uso della parola non è facile, il gatto mente subito, oppure è troppo veemente e aggressivo quando vuole dire la sua senza prestare la minima attenzione alla sensibilità degli interlocutori.
Il Rabbino di fronte alle bugie del gatto così risponde: la parola serve a descrivere il mondo, non a contraffarlo. E il timore che conduca sua figlia su una brutta strada (nel fumetto vediamo il gatto che suggerisce alla ragazza di leggere Il rosso e il nero di Stendhal) lo spingono a tenere sempre con sé il gatto e infine a impartirgli una educazione ebraica per migliorare il suo carattere poter frequentare la padroncina.
Rabbino: L’occidentale vuole risolvere il mondo. Fare l’uno con il multiplo. È un’illusione.
Il gatto: Sì, ma in fin dei conti, maestro, non è forse vero che anche l’ebraismo cerca di fare l’uno con il multiplo?
Rabbino: Sì. Ma non nello stesso modo. Il Logos consiste di tesi, antitesi e sintesi. Mentre il giudaismo è fatto di tesi, antitesi, antitesi, antitesi…
Questo è uno dei tanti passaggi, confronti tra il gatto e il Rabbino, momenti che ci permettono di pensare altre antitesi, antitesi…
Il gatto però è anche il nostro narratore, si confronta con tutti anche con il lettore. Con i suoi occhi cinici e liberi dalle infrastrutture e dalle idee precostituite osserva, giudica, analizza il comportamento dei vari personaggi della storia. Anche gli allievi del Rabbino subiscono le sue attenzioni, uno in particolare che sembra volere la mano della padroncina. È un giovane dalla parola tagliente, sempre preso a difendere i costumi e richiamare le donne come a sottolineare che Se temi Dio, se rispetti lo Shabbat e fai bene le tue preghiere, non ti può succedere niente. È logico. Ma il giovane così rigoroso ha la sua seconda vita condotta del bordello arabo, frequentato in incognita. E al gatto piace quell’anima ambigua. D’altra parte il gatto si diverte a dialogare con i suoi interlocutori così come a tacere e osservare il mondo che scorre intorno a lui, prediligendo i più imperfetti oppure coloro che lo coccolano.
Il gatto del Rabbino – il Bar-Mitzvah è una delle tantissime serie a fumetti che Joann Sfar disegna. Autore francese tra i più prolifici e innovativi, pesca a piene mani dalle tradizioni familiari ricevute dai propri genitori, madre askenazita e padre sefardita. In una intervista al sito francese www.parutions.com ha sottolineato la profonda educazione religiosa che ha ricevuto fin da bambino. Anzi, il Gatto del Rabbino è chiaramente ispirato all’educazione del padre.
Il tratto di Sfar è vicino al fumetto favolistico, con i personaggi quasi infantili nella loro rappresentazione, il disegno ci riflette immediatamente il loro animo, i loro sentimenti. Nello stesso tempo l’autore francese è interprete di una nuova strada della scuola del fumettofranco-belga, ormai sempre meno aderente alla linea chiara di Hergé (Tin Tin). La linea di Sfar è spezzata, anzi più che una linea, sono decine di linee piccole, nervose, sferruzzate sulla tavola senza una apparente logica. Sembrano tante antitesi in un processo logico tra parola e disegno.
In Italia le opere di Sfar sono pubblicate dalla Kappa Edizioni, specializzata nel fumetto giapponese, ma che da alcuni anni ha dato spazio a diversi fumetti europei e non, come lo Spirit di Will Eisner.
Andrea Grilli