creazione/giuramento
Che la vita sia bella in sé è idea difficile da sostenere. In proposito, e come spesso accade in una prospettiva per certi versi paradossale, il Talmud riporta una discussione. La domanda da cui prende avvio è se sia stato un bene, per l’uomo, essere creato. La conclusione è che era meglio non esserlo. Poiché siamo, però, dobbiamo valutare con attenzione il nostro agire.
Benedetto Carucci Viterbi, rabbino
Il giuramento di Ippocrate è l’espressione più alta degli obblighi etico-professionali delle donne e degli uomini che esercitano l’arte medica. In quel testo al penultimo capoverso è scritto: “Tutto ciò che io vedrò e ascolterò nell’esercizio della mia professione, o anche al di fuori della professione, della vita degli uomini e che non deve essere riferito ad altri, lo tacerò considerandolo segreto”. Un’affermazione che si trova anche nella versione del giuramento adottata dalla Federazione Nazionale Ordini Medici Chirurghi e Odontoiatri (leggibile su www.fnomceo.it). Da giovedì scorso, con il voto del Senato della Repubblica quel testo è divenuto una diceria. Quel voto marca un punto di non ritorno. Non è un fatto tecnico, né un emendamento solo formale. L’introduzione o l’abolizione della pena di morte non segnano un passaggio tecnico di un sistema giurisprudenziale, ma ne individuano un tratto essenziale della sua filosofia. Lo stesso si deve dire in merito al senso e al significato del voto di giovedì scorso. Crederlo un fatto tecnico, prima ancora che un falso, è un abuso all’intelligenza di chiunque.
David Bidussa, storico sociale delle idee