Tu bishvàt/Concilio
L’evoluzione del senso della piccola festa di oggi, tu bishvàt, capodanno degli alberi, è emblematica delle tante identità dell’ebraismo che convivono insieme neppure tanto tranquillamente. Da semplice data stabilita dai Rabbini per il calcolo dell’inizio dell’anno “fiscale” per l’osservanza di alcune norme della Torà legate alla produzione arboricola (decime e ‘orlà), tu bishvàt è diventata, nel pensiero della qabbalà, un momento importante di riflessione sul rapporto con la natura visibile e con il mondo invisibile. Il Sionismo l’ha “rilanciata” per sottolineare il rapporto con la terra d’Israele, importando dall’America un nuovo rito come quello della piantagione di un albero. Il pensiero di alcuni Maestri come Zadoq haKohen ha spiegato la concatenazione simbolica dei tre pleniluni successivi di Shevat, Adar e Nissan in cui cadono feste progressivamente importanti (tu bishvat, purim, pesach). La ricchezza dei simboli della nostra tradizione suggerisce in ogni momento significati e collegamenti che guidano la nostra comprensione del tempo e della storia.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
Qualche giorno fa sono stata invitata, come storica e come ebrea, a spiegare cosa sia il negazionismo in una parrocchia romana, davanti ai fedeli. Mi era strano parlare in una chiesa, ma questa era anche una chiesa speciale: la chiesa di San Salvatore ai Monti, la chiesetta annessa alla Casa dei Catecumeni, il luogo deputato alla conversione degli infedeli tra il Cinque e l’Ottocento. Mentre parlavo vedevo le grate da cui gli ebrei rinchiusi alla Casa dei Catecumeni dovevano seguire la messa. In quel luogo, l’enorme cambiamento avvenuto nella Chiesa dal Concilio in poi diveniva tangibile, e non solo gli indegni pastori come Williamson ma in genere i tradizionalisti, con il loro ribadire l'”insegnamento del disprezzo”, apparivano anacronistici. E ascoltando il parroco, don Federico, spiegare perché, in nome di quale riparazione, aveva voluto che la mia lezione si tenesse proprio lì, pensavo a tutto il lavoro che è stato fatto nel mondo cattolico dopo il Concilio per cambiare la mentalità, il pensiero dei cattolici nei confronti non solo degli ebrei, ma di tutti quelli che cattolici non sono e non vogliono diventare. Un lavoro lunghissimo, difficile, capillare, che di fronte alle domande e alla luce di interesse che brillava negli occhi del mio pubblico mi appariva visibile, e prezioso.
Anna Foa, storica