La Mecca a Gerusalemme. Intervista a Daniela Santus
La Mecca? Si trova a Gerusalemme. I chassidim sono antichi egizi o antichi palestinesi. Lo stato d’Israele è nato da un’invasione armato degli israeliani contro lo stato di Palestina mentre la qibla, la direzione di preghiera islamica, è una festa di pellegrinaggio. Sono solo alcuni degli svarioni che Daniela Santus, docente di Geografia culturale e dei paesi mediterranei all’università di Torino, si ritrova sotto gli occhi qualche giorno fa correggendo la prova scritta dei suoi studenti.
La frustrazione della professoressa Santus, 47 anni è immensa. E’ convinta che “gli studenti devono essere stimolati a riflettere, a raccogliere informazioni, ad ascoltare opinioni che magari si allontanano dagli stereotipi mentali che i media o i partiti politici hanno inculcato loro; devono essere sollecitati a leggere i quotidiani e a confrontarli”. E proprio per questo da tempo è impegnata nella didattica attiva, anche attraverso l’organizzazione di laboratori e incontri. Davanti a quella prova d’esame si lascia però prendere dallo sconforto e da molti interrogativi che trovano voce in una lettera aperta destinata ad amici e colleghi.
Professoressa Santus perché questa lettera?
Mi occupo da anni di geografia culturale, con particolare riferimento all’area mediorientale. Sono sempre stata convinta del fatto che, alla base di tutto l’antisemitismo (definirlo antisionismo mi sembra abbastanza stucchevole) che sta rimettendo radici nel mondo, ci sia una grande ignoranza. Anni fa, ad esempio, ai giovani dell’estrema sinistra che mi avevano violentemente attaccata per il fatto di aver invitato Elazar Cohen, dell’Ambasciata israeliana, a lezione, avevo chiesto se fossero mai stati nei territori palestinesi o se avessero mai parlato, in loco, con persone residenti a Gerusalemme Est per conoscere davvero come la pensavano. Non l’avevano mai fatto. E così, forte della mia convinzione, ho moltiplicato gli sforzi cercando di portare se non conoscenza, almeno curiosità. Purtroppo, mentre correggevo gli ultimi esami scritti, mi sono resa conto che è quasi del tutto inutile. La mia lettera, inviata soprattutto ad amici e colleghi, era uno sfogo. Quasi a chiedere loro se stavo sbagliando in qualcosa o se davvero è impossibile sconfiggere l’apatia che ci circonda.
Chi sono gli studenti che seguono i suoi corsi?
Provengono soprattutto da istituti professionali per il turismo e da licei linguistici o europei. In buona percentuale sono stranieri, soprattutto maghrebini, rumeni e albanesi. Vi sono poi alcuni cinesi e libanesi. Mi capita anche di avere “ospiti” dei spiti” dei collettivi autonomi, che vengono soltanto per monitorare la mia “imparzialità” o quella dei conferenzieri da me invitati.
Qual è stata la sua reazione davanti agli strafalcioni degli studenti?
Mi sono sentita depressa, sfiduciata, stanca. Del tutto impotente. Negli anni ho cercato di affinare le mie tecniche didattiche. In aula uso supporti multimediali, propongo film e documentari. La carta d’Israele viene sempre commentata, cerco di coinvolgerli nella lettura e nel commento dei quotidiani. Ma la loro ignoranza è disarmante. Il Tigri e l’Eufrate vengono sempre, da qualche studente, fatti scorrere in Israele. Ormai non sanno nemmeno più chi era Arafat. Men che meno hanno idea di chi sia Abu Mazen e Hamas è confuso con un generale israeliano. Tzipi Livni? Una sconosciuta! Inutile dire lo sgomento quando cito i Rotoli del mar Morto o Masada! Nulla di nulla. E il guaio è che nulla resta. Negli anni ho fatto intervenire molti esperti alle mie lezioni. Quest’anno hanno parlato ai miei studenti l’imam Sergio Pallavicini e il rabbino Somekh. Alla fine neppure una domanda. Un’occasione sprecata.
Da cosa dipende questa situazione?
Temo da un disegno ben preciso cui purtroppo molti insegnanti non riescono – o forse non sanno – sottrarsi. Lo scorso anno, per fare un esempio, il mio figliolo più piccolo frequentava la prima media. Sul testo di storia (Paolucci, Signorini, Il corso della storia, Zanichelli) il capitolo dedicato agli ebrei era fortissimamente fazioso. La terra che Dio promise ad Abramo è definita sempre e soltanto Palestina, salvo poi identificare i filistei con gli “antichi palestinesi” che si stabilirono lungo la fascia costiera “del moderno Stato d’Israele”. Non una parola su Canaan, non una parola sulla reale nascita del termine Palestina, non una parola sull’origine non araba e men che meno islamica dei filistei. In pochissime pagine il termine Palestina compare ben 11 volte eppure agli autori non vivente in mente di spiegare che si tratta di un nome dato dai romani proprio nell’intento di de-ebraicizzare Eretz Israel.
Che dire poi del testo curato dal gruppo Geoidea, Il mondo. Le regioni nella prospettiva globale, De Agostini, in cui si afferma: “La vittoria d’Israele impedì la formazione di uno stato palestinese” e “nel 1967 gli israeliani conquistarono la Cisgiordania (della Giordania) e la Striscia di Gaza (egiziana)”. In altre parole gli autori suggeriscono che fu l’autodifesa israeliana e non l’aggressione araba a non permettere la nascita di uno Stato palestinese e mi sembra anche si possa evincere che la Cisgiordania e Gaza – territori destinati alla Stato palestinese e, dopo la guerra d’indipendenza, occupati da Giordania ed Egitto – fossero in realtà territori di proprietà dei due rispettivi Stati. Sempre in riferimento alla Guerra dei Sei Giorni si fa riferimento alla conquista della città di Gerusalemme (non si dice la parte est!) da parte degli israeliani e si dice che, soltanto in seguito, divenne capitale d’Israele… lasciando intendere che, fino ad allora, fosse stata Tel Aviv. Del 1950 nessuna traccia.
Si tratta di casi isolati?
Niente affatto. Di tono analogo sono i testi Bompiani, parte di una collana per la scuola secondaria superiore diretta da Giuseppe Dematteis. Nel testo Geografia dei paesi extraeuropei, di Natale Garrè e Giovanna Merlo (1993) si attribuisce la mancata formazione di uno stato palestinese nel 1948 alla vittoria delle guerra d’indipendenza da parte d’Israele. Gli stessi autori, ne I sistemi economici mondiali (del 1998) sostengono che in Israele le attività economiche industriali sono gestite unicamente dagli ebrei. Niente di più falso: è una casualità? Allo stesso modo è una casualità che gli autori scrivano che gli arabi che vivono in Israele sono in situazioni estremamente problematiche poichè ricevono la cittadinanza, ma sono di fatto esclusi dalle cariche politiche? Cosa può ingenerare tutto ciò negli studenti? Anche questi autori, tra l’altro, indicato Gerusalemme come capitale solo dal 1967.
Ancora più estremo è il testo curato da Gianni Morelli e Alfredo Somoza, La nuova geografia dei continenti, Mondadori 1998: in esso si legge infatti che Tel Aviv è la sede del governo. A p. 246 gli autori sostengono che: “La vendita di armi all’estero costituisce la voce più importante dell’economia del piccolo Stato”. Cosa vogliono suggerire? Dulcis in fundo… un testo universitario a cura di Dagradi e Farinelli intitolato Geografia del mondo arabo e islamico, Utet Libreria 1997. In esso, l’autrice del capitolo su Israele, M.L.Scarin, scrive che “nel 1947 nella regione della Palestina furono istituiti due Stati: uno ebraico…e uno arabo” (come fanno a capire, gli studenti, che in realtà furono soltanto proposti e non istituiti?). “Iniziarono le guerre arabo-israeliane: la prima fu quella del 1956” (e quella per la sopravvivenza del 1948?). “Gerusalemme venne proclamata capitale dello Stato nel 1980 (…perchè non l’altro ieri?). “Gli ebrei oltranzisti vorrebbero la distruzione di tutti gli edifici che ricordano la fede musulmana”. Parlando di economia, l’autrice dimentica il terziario e il terziario avanzato e sostiene che l’agricoltura è uno dei settori più sviluppati. Parlando dei kibbutzim scrive che i bambini vengono educati in maniera ferrea e raramente si permette loro di compiere gli studi universitari.
Quali effetti possono avere testi del genere sugli alunni?
Se i ragazzi vengono sottoposti a bombardamenti continui di informazioni faziose (e i media fanno la parte del leone), come potrebbero poi capire che tutto ciò su cui si fondano le loro certezze sia un falso? Se sin dalla prima media si insegna loro che la patria ebraica si chiamava “Palestina” e che i filistei altri non erano che gli “antichi palestinesi” questi poveretti iniziano a pensare che l’Islam è sorto prima di Cristo in Palestina! E che gli ebrei hanno rubato la terra ai palestinesi: che è esattamente quanto i disinformatori vogliono.
Qualche anno fa lei fu protagonista, all’università di Torino, di un episodio che ebbe riscontro grande riscontro sui media.
Nel 2005 l’estrema sinistra antagonista insorse contro la mia decisione di invitare a< lezione il dottor Elazar Cohen, diplomatico dell'Ambasciata d'Israele. In quell'occasione il dottor Cohen poté svolgere la sua lezione soltanto grazie all’intervento della polizia. Io stessa potei continuare le lezioni solo grazie alla sua protezione. Devo ammettere che mi infastidisce il concetto per cui un israeliano può parlare soltanto con un palestinese accanto e non viceversa. L’anno dopo decisi di provare il mio assunto per cui a questi giovani contestatori non interessa nulla del dibattito, ma desiderano soltanto opporsi a Israele. Così, con l'aiuto della collega Sarah Kaminski e del mio preside Paolo Bertinetti organizzai una mattina di studio con i due rettori di Gerusalemme: quello dell'Università ebraica e quello dell'Università palestinese di Al Quds. L'ateneo diede molto risalto all'evento, ospitato in Rettorato. Ma non si presentò nemmeno uno studente. Ma come? Se fino a pochi mesi prima si stracciavano le vesti e lanciavano fumogeni perché non era stato garantito il dibattito, adesso che avevano entrambi i rettori seduti accanto a parlare di cooperazione non interessava più niente? Allo stesso modo pochi erano i docenti e i giornalisti che, tra l'altro, non scrissero neppure una riga sull'evento. Un israeliano e un palestinese che parlano di progetti comuni non interessano proprio a nessuno …
Perché questo disinteresse?
C’è un disegno: si vuole mantenere il conflitto. E perpetuare l’ignoranza. Perché soltanto nell’ignoranza può proliferare l’antisemitismo. D’altra parte la storia ce lo insegna. Quando c’è un problema è meglio dare gli ebrei in pasto all’odio popolare, prima che il popolo ne scopra la vera causa. E’ stato così ai tempi delle crociate e dell’inquisizione, al tempo degli zar e della rivoluzione bolscevica, al tempo di Hitler e a quello di Stalin. Trovo assai preoccupante, ad esempio, che con il crescere dell’ignoranza cresca anche la percentuale di quanti credono che la “vera” causa della crisi finanziaria globale sia da ricercarsi nelle manovre economiche degli ebrei. Un brutto segnale davvero.
Lucilla Efrati