Rashì/Amos Oz

Lo scorso shabbat abbiamo letto il brano biblico relativo al dono della Torà. Al verso 2 del capitolo 19 dell’Esodo e’ detto: “Partirono da Refidim e giunsero nel deserto del Sinai, si accamparono nel deserto e là Israele si accampò di fronte al monte”. Rashi, il piu’ auterovele commentatore della Torà, spiega: “Israele si accampò là come fossero un solo uomo e un solo cuore, mentre tutte le altre volte che si accamparono lo fecero con spirito di contestazione e di dissenso”. Ci troviamo di fronte a una delle più belle e famose interpretazioni di Rashì. Il popolo ebraico libero è giunto di fronte al monte Sinai e sta per ricevere la Torà, i dieci comandamenti, lo scopo ultimo dell’uscita dall’Egitto, della liberazione. “Partirono” e’ plurale come anche “giunsero” è plurale. “si accampò”, viceversa, è singolare. Ne deduciamo che solo di fronte alla Torà il popolo ebraico trova la sua unità. In verità, anche nel commentare il verso 10 del capitolo 14 dell’Esodo, in cui si racconta degli egiziani che inseguono il popolo ebraico con obiettivi persecutori, Rashi’ dice: “Come fossero un solo cuore, un solo uomo”. Come e’ possibile? Dove finisce allora il mito della peculiare unita’ e solidarietà del popolo ebraico? Se lo vogliono anche i persecutori antisemiti possono avere la stessa unità di intenti come gli ebrei di fronte alla Torà? Al di là dell’apparente tautologia, e osservando invece con attenzione, Rashì sta dicendo due cose diversissime tra loro: per gli ebrei l’ordine è “uomo-cuore”, per i persecutori egiziani e’ viceversa “cuore-uomo”. L’ultima parola è quella che conta; i nostri nemici hanno solo lo scopo di perseguitare gli ebrei. Al di là di questa unità e solidarietà nelle emozioni non hanno null’altro in comune. La nostra unità si basa invece su un altro movimento “uomo-cuore”. Le emozioni non possono mai costituire il punto di partenza ma si presentano piuttosto come conseguenza di un vissuto intorno a un progetto comune. Ci ritroviamo di fronte alla domanda cruciale: per quale scopo si agisce insieme? Rashì ci ha già risposto.

Roberto Della Rocca, rabbino

Sta per uscire in italiano un nuovo romanzo di Amos Oz. S’intitola “Una pace perfetta” (lo pubblica come sempre Feltrinelli) ed è stato scritto molti anni fa. E poi è ambientato alla vigilia della guerra dei Sei Giorni, più di quarant’anni fa ormai. Un libro datato in tutti i sensi, insomma. Eppure è straordinaria proprio la sua attualità. Non politica ma umana. E’ la storia di tanti disadattamenti, uno accanto e insieme all’altro. Di vite radicate con fatica, di ansie di libertà. Di calore e smarrimento. E’ come sempre quando si apre un libro di Oz, bellissimo. Anche tradurlo, è un’esperienza unica. Ho incontrato esperienze di scrittura molto diverse fra loro, traducendo gli scrittori israeliani. Alcuni li amo follemente, altri meno. Quando traduco Oz sento la sua ispirazione che mi accompagna e non mi lascia mai. E’ come un vento a favore, quando si naviga.

Elena Loewenthal, scrittrice