La grande lezione degli schiavi che hanno messo la libertà al mondo

Per i filosofi tedeschi Hegel e Nietzsche l’ebraismo rappresenta una religione e una morale da schiavi, fatta cioè da schiavi per gli schiavi. Nietzsche arrivò a pensare che nel mondo europeo, in cui la schiavitù era ormai venuta meno, sarebbe stato necessario ripristinarla per consentire l’edificazione del “superuomo” germanico che avrebbe dovuto infine dominare sui popoli slavi (fra l’altro: slavum nel latino medievale vuol dire schiavo). E i nazisti lo presero alla lettera. Ma forse Hegel e Nietzsche non avevano poi torto. Perché nei documenti dell’antichità si parla della schiavitù, ma sempre dal punto di vista dei dominatori. Con vanto e orgoglio vengono enumerati i prigionieri catturati dal re di turno; con spietata precisione vengono descritte le terribili pene inflitte allo schiavo ribelle. Lo schiavo non è una persona, ma una cosa; è proprietà del padrone. Per Aristotele – che qui fa testo – gli schiavi possiedono forse ragione, ma non la esercitano in modo attivo e non sono in grado di riflettere. Ci vuol poco poi a identificare gli schiavi per natura: sono i non-greci, i popoli altri, gli stranieri.
La Torah è dunque la grande eccezione. Il “codice” ebraico ha inizio con l’emancipazione degli schiavi. Come lo schiavo riposa al settimo giorno, così dopo aver lavorato sei anni, al settimo dovrà essere liberato (Es 21, 1-2). Il “codice” è scritto per gli schiavi da coloro che furono schiavi e che, nel ricordo della loro schiavitù, non renderanno schiavi altri – né ebrei né stranieri. È questa la regola aurea a cui Israele sarà misurato. Ma c’è di più: il ricordo non riguarda solo la schiavitù opprimente dell’Egitto, ma anche l’esodo, la liberazione. Su questo insisteranno i profeti (Ger 34, 17). Quell’evento che sembrava e sembra impossibile, la liberazione, è invece possibile. Il popolo ebraico lo ha sperimentato e perciò è chiamato a testimoniarlo. La Torah è scritta da schiavi liberati che, con la loro stessa esistenza, porteranno la liberazione nella storia.
A meno di non voler tradire questa vocazione, il popolo ebraico sarà sempre la negazione ostinata dell’ordine privo di riguardi per il debole, senza pietà per il vinto. La sua storia si intreccia con la storia dell’emancipazione degli oppressi – la indirizza, la anima, la sostanzia. Ci possono essere dubbi sulla sua “parte” politica? Dissidenza originaria, Israele sarà sempre accanto ai lavoratori, ai perseguitati, agli stranieri.

Donatella Di Cesare, filosofa