Ebraismo, diritti umani e modernità

Qual’è il ruolo dell’ebraismo nella promozione dei diritti umani? Il Rav Riccardo Di Segni, intervenuto alla trentatreesima giornata di studio, organizzata nella sala Montefiore del centro comunitario a Venezia in onore di Elie Wiesel, ci propone una riflessione. (nella foto a fianco Amos Luzzatto al centro, il Rav Riccardo Di Segni a destra e Daniel Vogelmann a sinistra)
Jonathan Sacks, Rabbino Capo delle Congregazioni ebraiche unite del Commonwealth, dice che il linguaggio dei diritti umani è universale, ma parla con un accento ebraico; dobbiamo tener presente che rispetto a tutti i testi che ci sono stati nella storia dell’umanità dalla dichiarazione d’indipendenza americana alla dichiarazione dei diritti umani della rivoluzione francese, dove troviamo un elencazione di diritti, nei testi ebraici non si parla quasi mai di diritti, bensì di doveri. Nella Torah troviamo il comandamento di non uccidere, come affermazione del diritto alla vita, di non rubare come affermazione del diritto alla proprietà, quindi nell’ebraismo il sistema giuridico-culturale impone il tema dei diritti umani , partendo non dai diritti, ma dai doveri dell’uomo e da quello che gli è proibito fare. L’intero sistema di valori a protezione dell’uomo e dei suoi diritti deriva non da una convenzione sociale, ma da ciò che ha stabilito il Creatore. La prima volta che compare il divieto di omicidio nella genesi, viene detto: “Chi versa il sangue dell’uomo, per mano di uomo il suo sangue sarà versato perché Dio ha fatto l’uomo a sua immagine” quindi l’uomo è creato ad immagine di Dio e in quanto tale deve essere tutelato, l’offesa all’uomo e offesa a Dio e tutte le leggi della Torah discendono da questo principio.
Nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo non c’è alcun riferimento ad un’origine religiosa di questi principi, l’unico riferimento lo troviamo nella dichiarazione d’indipendenza americana dove si dichiara che tutti gli uomini sono stati creati uguali e sono stati dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili. Molti di questi diritti li possiamo riscontrare, non tali e quali, ma fondati nella esperienza ebraica.
Nella genesi si afferma il principio secondo cui Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza e quindi la violazione dell’uomo è la violazione di Dio, mentre nell’esodo si evince che Dio interviene nella storia per tutelare gli oppressi e quindi è intollerabile lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. Il diritto al riposo lo troviamo già nel secondo capitolo della genesi quando si parla dello Shabbat, quando si dice che l’umanità discende da Adamo, si sottintende che siamo tutti figli dello stesso padre e secondariamente che da un uomo deriva l’umanità; chi distrugge quindi anche un solo uomo è come se distruggesse un’intera umanità.
La legge del taglione, spesso portata come esempio dagli antisemiti, non è una legge di punizione corporale, è una legge che i maestri interpretano in senso strettamente economico, il danno che viene procurato dev’essere ripagato secondo il danno vero e proprio, il dolore procurato, le spese mediche, l’inattività o cessato lucro, la vergogna inflitta dal danno. Dall’enumerazione di queste cinque componenti si evince che esistono altrettanti diritti: il diritto all’integrità della persona, il diritto a non soffrire, il diritto ad avere le spese mediche pagate, il diritto al lavoro che dev’essere retribuito, il diritto alla dignità.
In un’altra riflessione Jonathan Sacks afferma che i diritti umani, promossi dalla cultura ebraica, stanno diventando una chiave per alimentare l’antisemitismo. Oggi a causa della politica di Israele veniamo accusati di razzismo, Apartheid, crimini contro l’umanità, minaccia alla sicurezza internazionale.
Nel concludere il proprio intervento il Rav Riccardo Di Segni, ha concentrato la sua analisi su un aspetto di scottante attualità e cioè come nonostante si debbano rispettare i diritti umani, si possano presentare infinite variabili che portano conflittualità. Riguardo alla problematica della libertà di disporre della propria vita l’ebraismo non ha ancora risposte univoche, ma solo un ventaglio di opinioni possibili. Nel caso in cui una persona in piena coscienza decida di non voler essere più alimentato, noi abbiamo il dovere di tutelare la vita, poiché si dice: “non rimanere impassibili al sangue del tuo prossimo”. Bisogna quindi continuare l’alimentazione o dobbiamo interromperla? Secondo alcuni si cerca di convincere la persona, ma non la si può obbligare, per altri invece la si deve costringere. Per quanto riguarda l’alimentazione fondamentale e l’idratazione, con riferimento implicito al caso Englaro, viene considerata pratica essenziale e quindi non dovrebbe essere interrotta, come invece è possibile fare nel caso in cui si parli di respirazione artificiale. La discussione è comunque sempre aperta e in continua evoluzione.

Michael Calimani