I misteri del “Prefisso di Dio”, Buenos Aires e un’emozione speciale. Aspettando Gilad
Magia dei numeri e incanto della presenza ebraica nelle città del mondo. L’affascinante libro di Francesca Bellino (nell’immagine a fianco) di cui parliamo oggi (dedicato a Once, l’undicesimo distretto di Buenos Aires che pulsa di vita ebraica) e il ricorrere di una cifra che la stessa autrice si prende la libertà letteraria di definire “il prefisso di Dio”, ha fatto riemergere dagli appunti un prezioso messaggio ricevuto da Sergio Della Pergola alcune settimane fa.
Avrebbe dovuto essere pubblicato allora e condiviso con tutti i lettori, oltre che essere considerato un dono di amicizia da parte dell’autore. Mi scuso con i lettori se così, per un errore, non è stato. Ma riferendosi alla prigionia di Gilad Shalit (il militare israeliano rapito da terroristi islamici), una sofferenza indicibile lunga allora 911 giorni e oggi quasi mille, ha conservato un significato profondo, doloroso e sempre vivo nel cuore di tutti. Qualunque sia il numero del giorno assegnato alla liberazione di Gilad, voglia Hashem che questo momento felice venga al più presto. Ma se la nostra attesa dovesse malauguratamente prolungarsi, nessun numero, per quanto grande, potrà mai mettere da un canto le sofferenze di questo ragazzo, della sua famiglia e di tutti coloro che lo attendono. Nessun numero potrà spegnere la nostra attesa di vederlo libero.
Ecco il testo del messaggio di Sergio Della Pergola: “Negli Stati Uniti, il numero di telefono del pronto soccorso è 911. Il mega-attacco terroristico dell’11 settembre 2001, con la forma americana della data, è noto come 9-11. Oggi, 22 dicembre 2008, sono 911 giorni da quando il soldato Gilad Shalit è stato sequestrato in territorio israeliano da terroristi palestinesi”.
g.v.
Un libro nato per caso, il cui messaggio è l’invito a conoscere l’Altro, attraverso i quartieri della città di Buenos Aires, modello di società basato sull’integrazione e sulla diversità, dove tutte le culture, convivendo, mantengono le proprie prerogative.
“Viaggio sempre per raccontare i posti che vedo” dice Francesca Bellino, giornalista, reporter di viaggio e autrice televisiva, che collabora con numerose testate quotidiane e periodiche, tra cui Il Mattino, Il Foglio, Il Venerdì, Viaggi e D de La Repubblica autrice de Il prefisso di Dio, un libro difficile da definire, a metà fra un reportage di viaggio, un saggio e un romanzo, nessuna di queste cose completamente eppure tutte e tre assieme.
“Un imprevisto è l’unica speranza per il successo di un viaggio” dice l’autrice nell’apertura del libro e l’imprevisto della Bellino in questo viaggio a Buenos Aires “si chiama Undici” o Once. Ma che cos’è Once?
Once è il vecchio quartiere ebraico di Buenos Aires, una zona situata attorno all’incrocio tra le vie Corrientes e Pueyrredón, dal nome della stazione Once de Septiembre che si trova nei pressi di Plaza Miserere. L’11 settembre a cui è intitolata la stazione, è il giorno del 1852 in cui avvenne la rivolta della provincia di Buenos Aires contro il governo federale. E’ un quartiere affascinante, pieno di energia vitale, creatività e ricerche che l’autrice percorre nel tentativo di trovare l’undicesimo Comandamento e dove la città le offre un regalo: “l’invito a giocare contemporaneamente a nascondino e a caccia al tesoro in un contesto in cui la cosa da cui nascondersi e quella da cercare” coincidono.
Nel tuo libro tutto ruota attorno al “quartiere fantasma” Once. Come definiresti Once e che rapporto c’è tra il quartiere, la gente che in esso vive e la città di Buenos Aires?
Once per me simboleggia l’Aleph di Borges «uno di quei punti dello spazio che contiene tutti i punti. Il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli». Anche se per molti porteños – così sono chiamati gli abitanti di Buenos Aires – Once è solo un luogo di passaggio per raggiungere altri posti perché lì si trova una grande stazione, per me questo quartiere invece ha rappresentato il centro del labirinto che può portare alla conoscenza di se stesso e degli altri perché vi confluisce tutto e la sua atmosfera stimola al confronto con i propri limiti e con le differenze delle culture di altre comunità. A Once coabitano pacificamente ebrei, boliviani, peruviani, coreani, oltre a immigrati di origine italiana e spagnola. Once è considerato un quartiere fantasma perché non compare sulle mappe della città. Una delle sfide che la protagonista compie in questo viaggio di ricerca, infatti, consiste proprio nel trovare i confini di un quartiere che non esiste – conosciuto ufficialmente con il nome di Balvanera – eppure scenario di importanti pagine di storia della città di Buenos Aires, dalla nascita del tango, ai grandi flussi immigratori da fino ‘800 fino, dalla concentrazione di prostituzione ai primi attentati terroristici in America Latina negli Anni ’90, all’ambasciata d’Israele e all’Amia, fino alla tragica morte di 194 ragazzi nella discoteca Cromañon nel 2004, fotografia dell’Argentina di oggi: corruzione, insicurezza e normalizzazione del pericolo.
Once ha dato i natali ad alcuni tra i più grandi rappresentanti della cultura e delle arti non solo dell’intera Argentina ma di tutto il mondo. C’è una spiegazione, secondo te, o è solo un caso?
È vero, molte figure rappresentative dell’Argentina nel mondo sono nate o vissute a Once, come gli autori di tango Julio De Caro, José Razzano, Alberto Castillo, il maestro d’orchestra Daniel Barenboim, fondatore della West-Eastern Divan Orchestra che riunisce giovani musicisti d’Israele e dei Paesi arabi, lo scienziato, medico e fisiologo Bernardo Alberto Houssay che vince il Nobel per la medicina nel 1947. Vi è nato e ancora ci vive e ci lavora anche uno degli scrittori ebrei più apprezzati della nuova generazione Marcelo Birmajer e si racconta che lo stesso Carlos Gardel, il grande mito del tango, abbia trascorso la sua infanzia tra le strade di Once, come è successo anche al maestro Luis Bacalov, autore della prefazione de “Il prefisso di Dio”, nato in un quartiere vicino, Villa Crespo. Una spiegazione? Ho sempre pensato che niente succeda a caso, come «ogni incontro casuale è appuntamento», come ci ricorda Borges. Probabilmente la convivenza di culture diverse e la possibilità di dialogare con il “diverso” aiutano a guardare il mondo in maniera più ampia e a sviluppare potenzialità, aspettative e creatività con maggior coraggio, libertà e determinazione.
La tua ricerca dell’undicesimo Comandamento – uno degli assi portanti del tuo libro – alla fine ha dato frutti?
Tanti. Come dice uno dei personaggi del libro «ogni passo è la meta». E’ più importante il cammino che si compie per raggiungere il traguardo o per trovare l’oggetto desiderato che l’arrivo o il ritrovamento in sé. Il libro, che fonde il linguaggio del saggio, del reportage e del romanzo, racconta i passi che compie la protagonista per imparare a confrontarsi, a dialogare e a rispettare l’Altro. Il mio augurio è che anche i lettori facciano lo stesso viaggio percorrendo le pagine del libro ponendosi delle domande sulla propria vita. L’invito che mi piacerebbe arrivasse a chi leggerà “Il prefisso di Dio”, infatti, è quello di cercare, ognuno sulla sua strada, un undicesimo Comandamento valido per tutte le religioni, una legge inedita da usare nelle nuove società plurali che, come in Italia, in tante nazioni stentano a funzionare.
Perché un turista dovrebbe visitare Once? Da quali suggestioni dovrebbe (o potrebbe) farsi guidare?
Once non è affatto un luogo turistico, non ci sono attrattive, è un luogo assolutamente anonimo, ma sicuramente può essere interessante passeggiare su una delle sue strade tematiche colme di prodotti variopinti ed economici, o attraversare plaza Miserere dove tante persone si dimenano in attività di ogni tipo e osservare come a Buenos Aires è assolutamente normale costruire una sinagoga a fianco a una chiesa cattolica gremita di fedeli in cerca di un miracolo e vedere persone di religioni diverse correre a compiere il proprio rito o preghiera senza inibizioni, vergogne o paure. Non c’è bisogno di andare a Once, però, per imparare ad ascoltare l’Altro e apprezzarne le differenze. Lo si può fare anche a Piazza Vittorio a Roma.
Lucilla Efrati