identità/illuminismo
Rav Benedetto Carucci Viterbi ieri ha ricordato una delle “frasi chiave” dell’esperienza religiosa ebraica, che compare alla fine della lettura della Torà fatta questo Sabato: “faremo e ascolteremo”. Frase “gettonatissima” da ogni Maestro, che la usa per dimostrare come la dimensione dell’agire sia essenziale nella nostra esperienza, che pure dà enorme importanza all’aspetto intellettuale. Per aggiungere un ulteriore dato alla comprensione di questa frase, propongo una stimolante riflessione tradizionale sulle parole e le radici verbali che la formano. “Faremo e ascolteremo” in ebraico è na’asè wenishma’. La prima parole deriva dalla radice ‘sh, la seconda dalla radice shm’. Sono le stesse radici che compaiono nei nomi di ‘Esav e Ishma’el, fratelli dei patriarchi Yaacov e Izchaq, patriarchi anche loro dei popoli abramitici non ebraici. Come a dire che proprio nell’espressione che dovrebbe più caratterizzare la forma dell’identità ebraica sono compresi i nomi dei fratelli/antagonisti di Israele.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
Mentre le bombe ferivano ieri in Egitto la politica mediatrice di Mubarak, una bella riflessione di Bernard-Henri Lévy ricordava sul Corriere un anniversario obliato dai più, quello della fatwa che esattamente vent’anni fa fu emanata contro i Versi Satanici di Ruschdie. Per il filosofo francese, fu un momento cruciale per la nostra storia, quello della nascita dell’islamofascismo e della fine dell’eredità illuminista. Quello in cui la parola tolleranza cambiò significato, e divenne legittimazione a mettere sullo stesso piano vittime e carnefici, a uguagliare a quella di uguaglianza l’idea di sottomissione della donna, a quella di libertà di cambiare fede quella di apostasia, e via discorrendo, in una deriva di cui percepiamo i funesti significati anche nella nostra società occidentale, nella crisi di alcune idee chiare e distinte, come quella della mediazione politica, della libertà di coscienza, della separazione dei poteri. Lo spirito dell’illuminismo è davvero morto? E dove e quando è cominciato il suo declino? Certo, si può e si deve tornare molto più indietro, ma è vero che, a considerare solo gli anni del secondo Novecento, quella fatwa del 1989 ha rappresentato una svolta nei nostri comportamenti, nelle nostre opinioni accettate, nelle nostre paure inconfessate. E vorrei ricordare, perché poco se ne parla ormai, che i sicari di Khomeini non sono riusciti a colpire Ruschdie ma sono riusciti ad assassinare, nel 1991, il suo traduttore giapponese, a pugnalare quello italiano e a ferire gravemente il suo editore norvegese. Come a dire che chiunque appoggi un apostata o un bestemmiatore e ne difenda la libertà è a sua volta un condannato a morte.
Anna Foa, storica