Purim/ronde

Tra una settimana sarà Purim ed è tempo per andarsi a rileggere quell’affascinante documento che è la storia di Ester. Affascinante per le sue infinite allusioni e la loro attualità. Prendiamo la storia di Washtì. La regina che viene ripudiata da Assuero per essersi rifiutata di mostrare la sua bellezza, senza veli, al pubblico della festa regale. In apparenza, eroina del femminismo e vittima del sopruso maschile. Non è proprio così, spiega il midrash, rovesciando le apparenze con un grande esercizio critico. Washti non era una signora qualsiasi, era la discendente della casa reale babilonese soppiantata dai persiani e la discussione tra marito e moglie era il pretesto per concludere un affare dinastico. Quanto alla sua presunta difesa dei diritti e del pudore femminile, si spiega, sulla base di allusioni scritturali, che la regina aveva organizzato anche lei una festa orgiastica pubblica, che aveva costretto le donne ebree a parteciparvi, che le aveva costrette a profanare il sabato. Insomma, non era uno stinco di santo, e il suo rifiuto di mostrarsi non dipendeva dal pudore ma dal fatto che in quel momento era impresentabile, per una malattia della pelle, o perché, dice ironicamente il midrash, Gavriel le aveva fatto spuntare una coda.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

Si cominciano a vedere le ronde. Su un autobus romano, un “rondista” travestito da controllore e affiancato da due veri controllori che si tenevano in disparte, non si sa se per prudenza o per dissociarsi, ha cominciato a chiedere il biglietto ai soli extracomunitari, il tutto a male parole, chiedendo loro anche i documenti e poi buttando a terra il portafoglio dei malcapitati. Il caso non è isolato. Se non è razzismo chiedere il biglietto solo agli immigrati, allora cos’altro è il razzismo? Chi ha autorizzato questa prassi illegale, condita di violenza e di male parole? Ci accorgiamo che stiamo lasciando via libera alla prepotenza dei delinquenti nostrani? Naturalmente, nessuno ha protestato. Fra poco, non ce ne accorgeremo nemmeno più, ci avremo fatto l’abitudine.

Anna Foa, storica