Donne D’Israele 6 – Angela Polacco. Guida per mestiere e vocazione

Da anni ormai il suo nome affiora qua e là dai reportage in terra d’Israele. Angela Polacco, guida turistica per mestiere e vocazione, si è infatti specializzata in un settore delicatissimo e d’alto impatto mediatico. Quest’energica signora di origine romana da tempo è divenuta la guida preferita di giornalisti, troupe televisive, politici e operatori culturali stranieri. Li accompagna nelle interviste e nelle visite, li sostiene sul fronte organizzativo, funge da interprete, intermediaria, amica e spalla. E soprattutto li aiuta a decifrare l’enigma appassionante del paese in cui ha scelto di vivere. Angela, 54 anni e due figli adolescenti, ha lavorato al tempo dell’intifada, della guerra del Libano e di Gaza senza mai incappare in una polemica o in contraddittorio pubblici. Il quarto d’ora di celebrità l’ha conquistato, suo malgrado, a settembre, quando si è ritrovata a guidare la visita a Yad Vashem di monsignor Fisichella e di un gruppo di parlamentari e amministratori italiani. Nella sala che espone il ritratto di papa Pacelli ha spiegato il silenzio intorno allo sterminio di sei milioni di ebrei definendo Pio XII “un Papa controverso”, di cui si sa che “fece scappare molti nazisti”. Ed è poi passata con il gruppo alla sala successiva.
Fisichella al momento non era presente. Qualcuno gli ha però riferito quelle frasi e la bagarre, inevitabile nei mesi delle grandi manovre per la beatificazione di Pio XII, è esplosa su tutti i giornali investendo anche la targa che a Yad Vashem illustra la figura di quel Papa. “E’ ora di smetterla con questa storia – ha tuonato il rettore della Pontifica università lateranense – consultino gli archivi. Ci sono nuovi studi, come quello della commissione americana Pave, che dimostrano quanti ebrei abbia salvato il Pontefice. Altro che chiudere gli occhi. in fondo lo sanno anche loro, tanto che sono stati costretti a togliere la lunga descrizione che avevano appeso contro il Sommo Padre”.
Angela, come ti sei sentita al momento delle polemiche?
Stupita, molto. A Yad Vashem ho semplicemente raccontato la storia, il motivo per cui è esposto il ritratto di Pio XII. Qualcuno nella delegazione ha fatto notare che la Chiesa di ebrei ne ha salvati tanti. Ho risposto che per ora è provata l’indifferenza di quel Papa, non il suo contrario, senza perciò nulla togliere all’operato di tanti sacerdoti. Si trattava di una visita ufficiale, dai tempi brevi. E’ stata questione di poche frasi e ci siamo spostati nel padiglione successivo. La polemica è stata montata molto dalla stampa, che ha calcato la mano.
Sei rimasta male?
Assolutamente no. Il problema sta nella percezione di chi arriva a Yad Vashem. Nelle sue motivazioni personali, famigliari, negli eventuali sensi di colpa.
Com’è maturata la tua decisione di vivere in Israele?
Non è stata una scelta di quelle classiche, che dai movimenti giovanili ebraici porta all’università o al lavoro in Israele. La mia alyah è maturata sulla spinta di una forte crisi di valori. Sono arrivata nell’85, dopo la vicenda dell’Achille Lauro e dopo l’attentato che a Roma uccise il piccolo Stefano Tachè. Sentivo che l’Italia governata da Craxi e Andreotti non tutelava a sufficienza le sue minoranze religiose. Così ho deciso di andarmene.
Una scelta difficile?
Il distacco è sempre doloroso. Ero molto radicata nella mia città dove per 12 anni avevo insegnato storia e cultura ebraica nella scuola comunitaria. Lasciavo alle spalle una famiglia, gli amici. Avevo però la sensazione di una straordinaria opportunità che mi si apriva davanti.
E il mestiere di guida turistica? E’ stata una passione immediata?
Ho iniziato subito il corso all’Università di Gerusalemme. Dovevo cominciare tutto da zero, così ho pensato di restare nel mio campo. Devo dire che all’inizio vedevo questo lavoro soprattutto come un’opportunità d’insegnamento. Poi è scattata la passione.
Con quali criteri guidi i tuoi visitatori alla scoperta del paese?
Sono un po’ atipica rispetto altre guide. Non mi limito a spiegare l’architettura o i monumenti. Cerco invece di raccontare il paese, la gente, la società. Le persone arrivano di solito con un’idea preconfezionata d’Israele. Cerco di spiazzare le loro aspettative, di accendere dei dubbi.
Molte delle domande riguarderanno la politica. Come ti comporti in questi casi?
Con grande attenzione, senza esprimere mai le mie posizioni. Non sono lì per fare propaganda.
In questi anni l’interesse rispetto Israele è cambiato?
Oggi la gente si vergogna meno a porre domande ed è più preparata del passato.
Quale aspetto del paese preferisci raccontare?
Mi piace parlare della storia e della società attraverso le testimonianze di persone di culture e religioni diverse. Qui poi non è difficile riandare agli anni Trenta attraverso la viva voce di chi ha vissuto quegli eventi e appena possibile cerco di farlo.
Un posto da visitare assolutamente?
Vado matta per gli scavi archeologici del periodo di Erode, una figura straordinaria. Ma mi piacciono tantissimo anche Gerusalemme, Tel Aviv e i kibbutzim, ciascuno con il suo carattere.
Torni spesso in Italia, che sensazione provi nel confronto tra i due paesi?
Sono molto soddisfatta della scelta che ho fatto. Israele è un luogo in cui sei nella storia, la vivi ogni giorno e ogni giorno sei partecipe di una costruzione comune. L’Italia oggi mi appare statica, un po’ depressa.
Eppure si parla spesso di una crisi di valori in atto in Israele.
Non sono d’accordo. Israele è un paese in cui valori sono ancora forti.
Che ruolo può avere l’ebraismo italiano rispetto la realtà israeliana?
La relazione tra i due paesi va mantenuta e fortificata. Tutti noi dovremmo cercare di essere un ponte e un punto di riferimento tra il nostro paese d’origine e Israele valorizzando in modo particolare le prospettive identitarie e culturali.

Daniela Gross