Rosenzweig: quale differenza fra Ebraismo e Cristianesimo

Senza l’ebraismo il cristianesimo non sarebbe neppure concepibile. E con ebraismo non si deve intendere solo la Torah, né solo la storia ebraica, ma il popolo ebraico vivente. È questa la tesi sostenuta da Franz Rosenzweig nel suo bellissimo libro La stella della redenzione, il canto del cigno dell’ebraismo tedesco, pubblicato già nel 1921 (quarant’anni prima del concilio Vaticano II).
Per chiarire la differenza tra ebraismo e cristianesimo Rosenzweig si avvale dell’immagine della stella: i raggi che erompono all’esterno e, disperdendosi, percorrono vie separate, raffigurano il cristianesimo; il fuoco, che arde all’interno, e raccolto mantiene l’unità, è l’ebraismo. Nella sua spinta espansiva il cristianesimo non tollera limiti; deve diffondersi, è missionario. Lontano dal fuoco, però, i raggi si affievoliscono e rischiano di spegnersi. Certo, è il suo indelebile paganesimo, l’ammissione di una dualità tra figlio e Padre, incomprensibile per gli ebrei, che ha reso il cristianesimo capace di convertire i pagani. Ma proprio qui si nasconde il pericolo che lo minaccia.
Tuttavia per Rosenzweig i raggi, che si sono allontanati, possono anche far ritorno (teshuvah) a quel che si è conservato per sottrazione: al “resto” di Israele. Perché l’ebreo è sempre in qualche modo un resto, uno scampato; è un interno il cui esterno è stato afferrato dalla corrente del mondo mentre ciò che resta di lui, attende sulla riva. “A dispetto di tutta la storia del mondo, la storia di Israele è storia di questo resto, per cui vale sempre la parola del profeta, e cioè che ‘resterà’”.

Donatella Di Cesare, filosofa