L’otto per mille e le Intese con valdesi ed ebrei
Vale la pena di soffermarsi ancora sulle Intese, per segnalare due elementi significativi.
Il primo: ricorre oggi il ventesimo anniversario della pubblicazione, nella “Gazzetta Ufficiale”, della legge con la quale è stata approvata l’intesa tra lo Stato e l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (legge 8 marzo 1989, n. 101).
La seconda: è stato finalmente approvato la scorsa settimana al Senato il disegno di legge concernente l’intesa con la quale la Tavola valdese potrà partecipare – con riguardo al riparto della quota dell’Otto per mille del gettito Irpef – all’ulteriore riparto delle somme risultanti dalle scelte inespresse assegnate in proporzione alle scelte effettuate dai contribuenti. La parola è così passata alla Camera, che si spera possa concluderne rapidamente l’esame, unitamente all’altro disegno di legge, riguardante l’intesa integrativa con le Chiese Battiste.
L’auspicio è che l’esito favorevole delle due leggi riguardanti le intese aggiuntive con la Tavola valdese e l’UCEI possa costituire il punto di avvio di una nuova fase di attenzione per le minoranze religiose, visto che – come già segnalato il 27 gennaio – attendono ancora di essere approvate con legge ben sei intese, siglate il 4 aprile 2007 (qualcuna già firmata in passato e nuovamente sottoscritta), tra lo Stato e le seguenti confessioni:
• Chiesa Apostolica in Italia;
• Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni;
• Congregazione cristiana dei testimoni di Geo.a;
• Sacra Arcidiocesi d’Italia ed Esarcato per l’Europa meridionale;
• Unione buddista italiana;
• Unione induista italiana.
Un’ultima considerazione: con la partecipazione anche della Tavola valdese alle scelte inespresse il lungo cammino dall’eccezione alla regola in materia di Otto per mille sembra ormai completamente compiuto: la partecipazione al riparto dell’8 per mille, prevista inizialmente per la sola Chiesa cattolica, è stata via via estesa alle altre confessioni religiose: alcune di queste ci sono arrivate da subito, al momento della stipula dell’intesa; altre (Tavola valdese, Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno e UCEI) hanno compiuto un cammino più lento e sofferto, rifiutando in un primo tempo di accedere al riparto e siglando poi integrazioni alla intesa originaria. Soltanto l’Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia, tra le confessioni che hanno raggiunto un’Intesa con lo Stato, ha rinunciato ad avvalersi della partecipazione alla quota del gettito dell’8 per mille, anche se nello scorso giugno l’assemblea di tale Chiesa ha cambiato anch’essa orientamento, deliberando di negoziare con lo Stato la conseguente modifica all’intesa.
Può apparire paradossale parlare di cammino sofferto quando ci si riferisce ad una strada che conduce ad acquisire risorse, eppure così è stato: per alcune confessioni religiose – in primo luogo per valdesi ed ebrei – la deroga al principio fondamentale dell’autofinanziamento ha costituito un passo realisticamente necessario, ma epocale, che ha suscitato non pochi dissensi, anche se ha dato indubbiamente linfa vitale. Una linfa vitale che i valdesi si apprestano a vedere notevolmente accresciuta, grazie alla partecipazione all’ulteriore riparto delle somme risultanti dalla scelte inespresse.
Il quadro statistico, tratto dal sito www.governo.it, pur non aggiornato, consente di valutare come lo Stato e le diverse confessioni partecipino al riparto dell’8 per mille e quanto pesino le scelte inespresse (circa il 60 per cento della somma totale attribuita). In particolare ci dice che, nel 2004, la decisione di rinunciare alle scelte inespresse è costata alla Tavola valdese quasi 6.900.000 euro: basterebbe questo dato a giustificare il cambio di rotta, optando infine anche per la partecipazione al riparto delle scelte inespresse. In proposito, il senatore Stefano Ceccanti, nel testo integrale della sua relazione sul disegno di legge approvativo dell’intesa integrativa in materia (purtroppo non pubblicata nel resoconto sommario della seduta), ha svolto un’interessante considerazione, che riporto integralmente: “A ben vedere questa evoluzione sembra alquanto logica. Infatti, per quanti si tratti di materia pattizia, quindi non coercibile unilateralmente, e per quanto allo Stato convenga obiettivamente che alcune confessioni facciano una scelta per così dire “rigorista”, autoriducendo il proprio gettito potenziale che va a vantaggio dello Stato medesimo, non può non destare perplessità in termini di uguaglianza tra i contribuenti, il fatto che, venendo tali scelte a confluire in un medesimo meccanismo, l’opzione fatta da un contribuente si ritrovi a pesare molto di meno di quella di un altro, per di più senza che egli abbia obiettivamente effettiva conoscenza che si usano meccanismi diversi di calcolo. Infatti, a parità di scelte da parte dei contribuenti, visto che l’opzione è esercitata da poco meno del 40% degli aventi diritto, una confessione più “rigorista” si trova ad avere un gettito di meno della metà rispetto ad un’altra che abbia optato per il meccanismo più comprensivo. Sarebbe come se in una medesima elezione ad un partito politico venissero assegnati i seggi mettendo in concorrenza anche il partito del non voto (astenuti, bianche e nulle) e ad un altro invece col metodo tradizionale”.
Valerio Di Porto, Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane