Primavera di Israele e primavera dei popoli

Siamo usciti dall’Egitto nel mese di primavera e Pesach deve ricorrere sempre di primavera (Esodo 13,4; 26,15; Deut. 16,1) ed è proprio questa richiesta che ha fatto sì che il lunario ebraico debba prendere in considerazione anche il calendario solare.
Secondo la concezione ebraica la storia del popolo ebraico ha diverse influenze: prima di tutto una influenza nazionale: nel mese “di Nisan sono stati redenti, di Nisan saranno redenti” (così secondo Rabbì Yeoshua; Talmud, Rosh Hashanà 10b); ma dal popolo ebraico si passa all’umanità intera: “la primavera della nazione ebraica è la primavera di tutti i popoli” esclamerà il Rav Kook, che, nella sera del Seder di Pesach, arrivato nella lettura della Haggadà al passo: “se non ci avesse fatto uscire dall’Egitto…” spiegava: ché se non avesse fatto uscire i nostri padri dall’Egitto verso la libertà, alle pendici del monte Sinai per la donazione della Torà, tutto il mondo ne avrebbe risentito in modo irreparabile: allora fu data la visione della redenzione di tutta l’umanità, della verità e della giustizia.
Siamo usciti dall’Egitto verso la libertà, per portare la libertà al mondo intero, per poter migliorare il mondo con il Regno dei Cieli e nostro compito è appunto quello di insegnare l’unicità di D-o e l’unicità del mondo. Ma da qui, dalla primavera di Israele a quella dei popoli, si arriva anche ad una primavera cosmica: tutta la natura sembra partecipare a questa primavera, i cui effetti si sentono anche sopra della natura.

Alfredo Mordechai Rabello, giurista, Università Ebraica di Gerusalemme