Pesach, canto senza tempo

Il Seder di Pesach. Una cerimonia antica. Una cerimonia vissuta in famiglia o fra amici, raffigurata qui in una immagine che è abbastanza vecchia, ma, nel mio cuore e nella mia memoria, rimane senza tempo. E’ Pesach del 1991, a Radauti, una cittadina nel nord della Romania da dove, un secolo fa, i miei nonni erano emigrati in America. Siamo una ventina di persone, quasi tutti anziani, seduti in una stanza della sinagoga. Fa freddo. Portiamo maglie e capotti. C’è un solo ragazzo, il figlio del presidente della piccolissima comunità, che ha cantato le quattro domande del Ma Nishtanà. Il Seder è finito. Abbiamo mangiato il kugel di matzot, uova sode, manzo stufato con patate. Abbiamo bevuto un vino dolce che viene da Israele. Le fiamme delle candele si spengono. L’uomo che ha condotto il Seder è stanco. Canta con una voce molto debole. E lui è unico fra i presenti che ricorda ancora della mia famiglia. Dopo la cena, cantiamo il tradizionale, Had Gadya. Conosco una melodia. Un amico venuto con me da Bucarest ne propone un’altra. E il vecchio intona, con un filo di voce, un’ altra melodia, una melodia molto particolare, che non ho mai sentito. Canta, forse, nel modo in cui cantavano, anni e anni fa, i miei antenati.


Ruth Ellen Gruber

(tutti i diritti riservati, copyright Ruth Ellen Gruber)