tempo/Obama
Il tempo – nei giorni e nelle settimane che separano Pesach da Shavuot, la liberazione dalla rivelazione – è contato ed enumerato. Un precetto ben strano che sembra soprattutto introdurci alla necessità della consapevolezza e al superamento della semplice e comoda abitudine.
Benedetto Carucci Viterbi, rabbino
La svolta impressa da Obama nella politica estera degli Stati Uniti, compresa la stretta di mano a Hugo Chavez, genera perplessità, forse stupore, comunque suscita interrogativi che possono essere sintetizzati in tre profili politici. Il primo dipinge l’attuale amministrazione americana come terzomondista. Sembra più uno slogan che non un’analisi reale. Il secondo insiste sul fatto che Israele non costituirebbe più una priorità politica per l’amministrazione americana, tutta tesa a risolvere e chiudere i conflitti ereditati dall’amministrazione Bush. Il terzo legge la politica estera americana come l’abbandono del paradigma petrolifero. In questa terza ipotesi il problema è rappresentato da una scommessa sul futuro (anche energetico) alimentata anche dalle domande indotte dall’attuale crisi.
Sotto questo profilo è il conflitto di civiltà ad essere delegittimato e a costringere tutti i protagonisti a trovare nuove fonti di legittimità. La domanda è dunque: quale ruolo avrà Israele in questa dimensione? E poi: che cosa significa in questo quadro la difesa di Israele da parte delle diaspore ebraiche? E’ ancora utile o significativo, parlare di antisemitismo?
David Bidussa, storico sociale delle idee