azioni/Israele

Nel terzo capitolo del trattato di Avòt, Rabbi Chaninà ben Dossà afferma che soltanto se le azioni sono maggiori della sapienza, la sapienza si mantiene. L’importanza straordinaria data dalla tradizione ebraica alle azioni, ribadita in questo e in altri passi di Avòt, suscita in alcuni casi delle perplessità. Si accusa a volte l’ebraismo di essere formalista e poco interessato ai pensieri e ai sentimenti. Ovviamente non è così. Nella tradizione ebraica si sottolinea spesso l’importanza dei sentimenti (i chakhamìm dicono che Dio desidera il cuore delle persone) e la straordinaria importanza data allo studio è una testimonianza del grande valore che ha per l’ebraismo la conoscenza. Ciò non toglie che l’azione sia fondamentale. Il Sefer Hachinùkh afferma che, diversamente da ciò che comunemente si pensa, sono le azioni a influenzare i sentimenti e i pensieri. Un autore contemporaneo, Rav Eliahu Dessler, spiega che nei rapporti con il prossimo non sempre i nostri sentimenti di amore ci inducono ad azioni concrete di sostegno e solidarietà mentre se ci impegniamo in azioni di sostegno e aiuto verso gli altri, ciò ci porterà a provare sentimenti di affetto nei loro confronti.

Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano

Sessantuno anni dopo l’Unità d’Italia, nel 1922, avveniva la Marcia su Roma. Ancora oggi si sta discutendo in Italia su come rappresentare la liberazione dalle conseguenze di quell’infausto momento. Oggi, nella data ebraica del 5 di Iyàr, festeggiando il 61° anniversario dell’Indipendenza dello Stato d’Israele ci chiedevamo se sarebbe possibile anche qui una “Marcia su Gerusalemme”. La storia insegna come le vicissitudini delle nazioni, le guerre, le grandi crisi economiche, possano scardinare i principi della convivenza civile generando sconsiderate e tragiche avventure. La società israeliana non è meno complessa e frastagliata rispetto a quella italiana, nelle diverse ideologie politiche e nei contrasti socioeconomici. E in più ha dovuto sopportare l’incessante ostilità del contesto geopolitico che in 61 anni ha causato 22.570 vittime militari e civili. Lo Stato israeliano ha finora saputo esprimere meccanismi di autocritica e di autocontrollo che ne hanno garantito il carattere civile democratico e rappresentativo. La chiave della futura esistenza di Israele sta nella sua capacità di difendere i propri interessi di sopravvivenza e di politica reale, che a volte impongono anche l’uso della forza, senza però mai dimenticare l’eterno imperativo ebraico di perseguire la verità, la giustizia, la vita, l’amore per il prossimo, la pace. È questo il vero senso dell’esigenza irrinunciabile che Israele sia lo Stato ebraico.

Sergio Della Pergola, demografo, Università Ebraica di Gerusalemme