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Influenza suina parte due. Trattandosi di qualcosa connessa con il maiale, i commenti religiosi non sono mancati. Già ne abbiamo parlato in questa sede lunedi. Ma il dibattito continua. Sulla Stampa oggi è stato scritto che “per gli ebrei il divieto alimentare (del maiale) non implica di per sè alcun giudizio etico”. Errore. Anche se il giudizio è marginale rispetto al divieto, nel senso che è una sua interpretazione, di questi giudizi è piena la tradizione: qualcuno spiega il divieto del maiale considerando il maiale modello di negatività. Il problema non è quello di negare queste spiegazioni, ma cosa farne. Già nel mondo islamico qualcuno si è precipitato a lodare la saggezza coranica che proibisce il maiale. Qualcuno lo farà anche da noi per la Torà. Lo stesso grande Maimonide ammetteva una spiegazione igienica (che non è la stessa cosa di quella morale) per alcuni divieti alimentari. Ma di malattie ce ne sono tante, che possono fare a meno dei maiali per diffondersi, o possono avere “ospiti” e diffusori “puri”. Poi ci sono le interpretazioni dei divieti, che possono essere igieniche, economiche, morali, storiche ecc. E chi ha un impegno di vita ispirato alla religione deve osservare le regole (anche se non sono spiegabili), comportarsi eticamente e stare attento a proteggere la salute sua ed altrui con i mezzi che la scienza e la ragione ci hanno dato.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
Nello svolgimento del mio lavoro è fondamentale studiare la stagionalità dei consumi dei prodotti. La pubblicità per una crema solare partirà a giugno, i panettoni iniziano a comunicare a metà novembre. Esistono poi dei prodotti senza stagionalità: è il caso delle neo mamme. Non c’è un momento dell’anno in cui sono più sensibli. Nel momento in cui rimangono incinte, le donne (e i loro compagni) si accostano a un mondo che prima di allora non li aveva minimamente interessati e scoprono fasciatoi, pannolini, carrozzine. Si tratta di prodotti che sono sempre in lancio. Recentemente mi sono imbattuto sui dati 2009 dell’Unaids, il programma congiunto delle Nazioni Unite sull’Aids. A fronte di una riduzione di nuove infezioni che sono passate da 3 milioni nel 2001 ai 2,7 e a un calo della mortalità per malattie correlate, da 2,2 milioni nel 2005 a 2 milioni, si assiste ad un fenomeno per il quale per ogni due pazienti messi in trattamento cinque si infettano. Non ho i dati italiani, ma mi domando, chi parla a quel plotone di giovani che entrano nella pubertà? I genitori? I professori? E cosa viene loro detto? Chi forma genitori e professori? I giovani sono uno dei target commercialmente più appetibile e più complesso a cui rivolgersi, odiano le imposizioni. L’Aids è un prodotto sempre in lancio? Chi ne cura l’immagine?
Fabrizio Caprara, amministratore delegato
di Saatchi and Saatchi Italia