Anna Foa: “La Shoah non può essere ridotta a una sceneggiatura o a una fiction”

“Perché – si domanda la storica Anna Foa in un articolo che apparirà la prossima settimana sulla rivista Vita e Pensiero anticipato dall’Osservatore Romano e dalle agenzie di stampa – la morte di Auschwitz, che abbiamo visto in tante immagini documentarie, non ci basta più? Perché questo riaffiorare voyeuristico di sadismo in romanzi e letteratura di fiction?”.
“Potremmo ipotizzare – aggiunge la studiosa – che la morte ideologica non interessi più nessuno, che per spiegare l’animo dei carnefici ci voglia almeno, come nel romanzo di Littell, il trauma di un incesto. O che, forse, si tratti di una risposta inconsapevole al dilagare del negazionismo: eccoti sangue e torture, nudità e morte visibile, a iosa. Come puoi negare ancora? O, forse, che tale sia ormai l’abitudine alla morte da richiedere per i nostri palati distratti che sia cucinata in sempre nuove salse”. “L’onda lunga dell’eredità di Auschwitz – si legge nell’articolo – ancora ci sommerge. Perché ancora dobbiamo capire fino in fondo cosa rappresenti, in noi eredi della rottura della civiltà rappresentata dalla Shoah, questa fame di sangue, questa assuefazione ai cadaveri, questa bramosia di letture accompagnata da tutta questa infantile e pervicace volontà di negare la storia, la realtà, solo perché troppo condivisa”.
“Inquieta – aggiunge inoltre la studiosa riferendosi alla spettacolarizzazione della Shoah – la notizia apparsa sui giornali in questi giorni, dell’ultimo film di Quentin Tarantino: un manipolo di coraggiosi e sanguinari ebrei americani alla ricerca, nella Seconda Guerra Mondiale, degli scalpi dei nazisti”.