immigrazione/ebraismo

L’onda emotiva del dibattito sull’immigrazione in Italia ha coinvolto e lacerato l’ebraismo italiano. Si è creato un intreccio di esigenze diverse: il rispetto della memoria e dell’unicità della shoà, che non può essere paragonata con leggerezza a ogni situazione, anche la più drammatica della storia; la complessità della questione immigrazione dove anche le migliori intenzioni di assistenza e integrazione si scontrano con realtà politiche che possono imporre scelte dure e dolorose; la buona regola che impone alle istituzioni ebraiche, attraverso i loro rappresentanti, di non fare scelte di parte politica, tanto più in periodi elettorali. Ma d’altra parte, e soprattutto, pesano la nostra memoria storica, che non può dimenticare la sofferenza dell’esilio, e la nostra tradizione religiosa, che già nella Torà ricorda il nostro essere “stranieri”, gherim, e per cinque volte ricorda che “siete stati stranieri in terra d’Egitto” (Shemot 22:20, 23:9, Waiqra 19:34, Devarim 10.19, 23:8) e proibisce di “restituire il servo al suo padrone” dal quale è fuggito (Devarim 23:16). Per cui niente confusioni con la shoà, niente interventi in politica, nessuna scelta di campo. Ma neppure niente silenzio, per il bene nostro e di questo Paese. I popoli di Amon e Moav si portano un marchio di infamia “perché non vi vennero incontro con il pane e con l’acqua nella strada quando eravate usciti dall’Egitto” (Devarim 23:5).

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

Al Centro Moses Mendelssohn di Studi Ebraici Europei a Berlino ci siamo riuniti questa settimana per discutere del futuro. Il quesito centrale era: sarà in grado l’ebraismo europeo, di costituire un terzo polo, accanto o perfino in competizione con i due centri maggiori in Nord America e in Israele? Le Comunità europee hanno attraversato in questi anni profondi cambiamenti, demografici, socioeconomici, culturali. Con la scomparsa dell’Unione Sovietica e l’emigrazione di massa, dagli anni Novanta – per la prima volta dal 1600 – vivono più ebrei in Europa occidentale che in Europa orientale. Nelle comunità ebraiche non mancano le figure di prestigio sul piano generale e su quello ebraico. Incredibilmente, però, agli ebrei è quasi sfuggito un fenomeno politico di grande importanza: la creazione e la crescita dell’Unione Europea. Esistono, sì, organizzazioni ebraiche continentali come il Congresso Ebraico Europeo e il Consiglio Europeo delle Comunità Ebraiche. A parte i dubbi sulle modalità elettive di questi enti, entrambi partono da un’Europa immaginaria che va dall’Atlantico a Vladivostock, passando da Casablanca, Istanbul e Baku, e dunque non è, e in un certo senso sfida l’Europa dei 27. La vera forza organizzativa ebraica opera ancora soprattutto a livello locale con scarso coordinamento continentale. Non esiste invece una reale forza ebraica rappresentativa presso le autorità europee a Bruxelles e ciò danneggia la capacità negoziale e gli interessi di oltre un milione di ebrei dell’UE. È giunto il momento di costituire una vera Unione delle Comunità Ebraiche dell’Unione Europea

Sergio Della Pergola, demografo Università Ebraica di Gerusalemme