Torino e i libri – Leone Ginzburg “Fare cultura in un paese dominato”

Ricordare Leone Ginzburg alla Fiera del Libro di Torino. L’attenzione si focalizza sull’intellettuale Ginzburg, sull’editore, sul produttore di cultura. È chiaro già dal titolo dell’incontro, “Fare cultura in un paese dominato”, che questo discorso non può non essere politico. Anzi, ci si accorge, ascoltando le accorate letture degli epistolari ginzburghiani interpretati da Eugenio Allegri, che Ginzburg fu un teorico ed un attivista instancabile del connubio cultura-politica, considerando la prima strumento necessario per vivere con coscienza la seconda. Ed è per questo che temeva e combatteva, dal ruolo di primo piano che ebbe nella direzione editoriale dell’Einaudi, lo strapotere delle ragioni d’impresa a scapito di quelle appunto politico-culturali, la ricerca della “leggibilità” e lo sguardo sospettoso degli editori verso testi più riflessivi e meno accattivanti il pubblico di massa. Walter Barberis, editore che conduce la conferenza, sottolinea, in un impeto autocritico, l’attualità di questa tendenziale deriva manageriale della sua categoria professionale.
Ginzburg, come produttore di cultura e di sapere, si sentiva investito di una missione pedagogica. Con una lucidità e lungimiranza davvero precoci ha colto in tempi quasi ancora non sospetti l’importanza di una battaglia culturale contro il pensiero unico fascista. Il compito che si assunse fu quello di contendere le menti dei giovani e degli intellettuali all’allineamento di regime. Una missione salvifica, quella di conservare intatta la loro personalità e la forza critica di non soggiacere ad altri compromessi dopo quello dell’iscrizione forzosa al PNF. Questo non solo in vista della lotta antifascista, ma anche della democratizzazione della società nascitura sulle ceneri di Mussolini. “Ipotecare il futuro” titolava un suo articolo, citato da Luisa Mangoni. Si sosteneva che non sarebbe bastata la morte o la caduta del duce a dare luogo alla Rinascita, la società era ormai avvelenata. Avvelenata da un veleno il cui antidoto fu l’oggetto unico dell’instancabile ricerca di Leone Ginzburg, fatta di un perpetuo lavorio, minuzioso affinamento, naturale attitudine di “ascoltare il mondo”, di coglierne quelli che Antonio Gramsci chiamava “mutamenti molecolari”. Occorreva restituire al popolo italiano la sua coscienza civile e sociale, la dignità morale smarrita nel ventennio. In sostanza il sentimento di umanità, in quanto conquista culturale sempre in pericolo, non data e inestirpabile condizione naturale.
È chiaro che, viste le non irrilevanti analogie tra l’odierno appiattimento politico-culturale (comportante intrinsecamente il risveglio di sentimenti xenofobi e intolleranti) e quello di ottant’anni fa, specialmente nel contesto della Fiera del Libro, la figura di questo ebreo russo impone una seria riflessione a tutto il mondo dell’editoria.

Manuel Disegni