unità/amarezza

Secondo la tradizione del midrash, i dieci comandamenti sono stati enunciati – in prima istanza – in un’unica parola: forse in un solo suono. Solamente in un secondo momento – per rendere compresibile il discorso agli uomini – Dio ha distinto la parola originaria nell’insieme di parole che costituisce i comandamenti. Unità/unicità dell’emittente ed unità/unicità del messaggio; ma anche sintesi assoluta, che ahimè manca alla nostra dimensione umana.

Benedetto Carucci Viterbi, rabbino

C’è una condizione che si sta diffondendo ed è quella dell’amarezza. Riguarda la quotidianità “normale”, quella di molti di noi che non siamo personaggi pubblici e che rischia di essere un fenomeno taciuto, subordinato alla dimensione straripante che ha acquistato il privato delle persone pubbliche. Il dato dell’amarezza riguarda la condizione di provare un profondo senso di ingiustizia ed entrare in un circolo vizioso in cui il pensiero costante è la convinzione di essere una vittima del sistema in cui si è costretti a vivere. E’ una condizione che in un’epoca in cui sia presente un’ipotesi politicamente riconoscibile di migliorabilità della propria vita quotidiana, concreta – in termini di reddito, di soddisfazioni, di opportunità pensate e realizzate – si mantiene entro confini limitati e non rischia di divenire un problema patologico di un Paese. Dove, invece, questa alternativa non c’è, e il senso dell’amarezza sembra solo appannaggio delle personalità pubbliche, il rischio è la diffusione di apatia sociale. La cosa non è marginale perché cronicamente il nostro è un Paese caratterizzato dalla convinzione che non si dia una seconda chance nella vita, al di là delle filosofie intorno all’”arte di arrangiarsi”. Anche per questo, al netto di tutto, non sarebbe fuori luogo riprendere a parlare del futuro non del nostro incerto presente, più che del tempo libero, per quanto discutibile, del Presidente del Consiglio.

David Bidussa, storico sociale delle idee