Torah/Shoah

E’ a tutti noto il motivo per cui la Torah è stata data nel deserto, affinché nessuno potesse rivendicare una nazionalità esclusiva della Parola Divina. Ma forse anche per insegnarci che la ricezione della Torah può avvenire solo se si è pronti a fare di se stessi un Midbàr, deserto. La parola Midbàr, deserto, se vocalizzata diversamente, può essere letta altresì come Medabbèr, colui che parla, in quanto Midbàr, deserto, contiene nel suo etimo la radice d-v-r, parola, appunto. Il deserto quindi come il luogo deputato alla ricezione della Torah, la parola di D-o, il luogo dove ci si svuota e si fa finalmente spazio all’ascolto. In un’epoca di sovrabbondanza e di abuso delle parole sarebbe quanto mai opportuno riscoprire quella paradossale dimensione di un silenzio eloquente del deserto-parola.

Roberto Della Rocca, rabbino

Apro il settimanale tedesco Der Spiegel, la cui copertina è dedicata ai “complici” della Shoah (che sarebbero i non-tedeschi) e vedo la foto di un giovane lituano con in mano una lunga sbarra di ferro, sparsi ai suoi piedi i corpi di quelli che ha appena assassinato. In questi anni mi è successo che al groppo in gola per le vittime, si è aggiunto il conato di vomito per i macellai, il ribrezzo per la vertiginosa incomprensibilità di quello che hanno fatto. Si parla spesso di scomparsa dei testimoni diretti e di quello che accadrà al ricordo della Shoah nei prossimi anni, ma non del fatto che molti di noi cinquantenni, pur non essendo né testimoni né figli di sopravvissuti, sentiamo ancora questo dolore quasi fisico e questo orrore quasi fisico per il genocidio ebraico. Lo sentiranno anche le generazioni più giovani o per loro sarà come pensare ai massacri di Tamerlano? E i non ebrei, lo sentono questo? Azzardo il pensiero che è questa reazione fisica all’orrore, questa “allergia” che noi ebrei abbiamo sviluppato (o dovremmo in ogni caso avere sviluppato) a costituire la nostra seconda “elezione”, a darci una speciale responsabilità, a fare di noi quasi “i canarini nella miniera” dei totalitarismi e dei genocidi che ancora si sviluppano e ancora avvengono.

Marco Vigevani, agente letterario