Il multiculturalismo della Biennale di Venezia e la direzione di Daniel Birnbaum
E’ forse più multiculturale in assoluto, l’edizione della Biennale di Venezia che ha appena aperto al pubblico. La 53° Esposizione Nazionale d’Arte, visitabile fino al 22 novembre all’Arsenale, al Giardino delle Vergini e ai Giardini di Castello, ha superato se stessa innanzitutto quanto a partecipazioni nazionali, che quest’anno sono ben 77, con molte new entries fra cui Emirati Arabi e, come evento collaterale, Palestina c/o Venice. Ma, al di là dei numeri, multiculturale e multicentrica è soprattutto l’impostazione data alla mostra internazionale dal direttore di questa edizione, Daniel Birnbaum (1963 – nell’immagine in alto), svedese trapiantato a Francoforte dove dal 2001 è rettore della Staedelschule di Francoforte sul Meno. Dal lavoro dei 90 artisti invitati, rigorosamente provenienti da tutto il mondo non solo non emerge più alcun “punto di vista” dominante, ma nemmeno una qualche estetica “forte”, dai valori visuali ben definiti e riconoscibili. In altre parole: in nessun punto della mostra internazionale ci si sente davvero “colpiti” da un lavoro, un’installazione o un pensiero trasformato in forme visibili. Da una sala all’altra, sotto le maestose volte e gallerie dell’Arsenale o nello spazio del Padiglione ai Giardini, l’impressione è piuttosto quella di scivolare da un racconto all’altro (qualche volta incompiuto o ancora in progress) e da una dimensione espressiva all’altra ma tutte sostanzialmente equivalenti e assolutamente politically correct: con parecchie trovate divertenti o graziose, e anche una certa tendenza a glissare dall’“impegno” politico frontale e diretto per ricorrere a vie oblique più lunghe e più ambigue, a parte forse i deja vu anti-imperialisti di Rirkrit Tiravanija (Argentina) o di Anawana Haloba (Zambia). Ma soprattutto l’arte apprezzata da Birnbaum è tutto sommato gradevole, talvolta meditabonda, melanconica, sottile, predilige gli interstizi, le pieghe del linguaggio e non esce volentieri sulle superfici aperte. D’altra parte il titolo stesso di questa mostra, Fare mondi, sottolinea è vero il rispetto del curatore per l’atto creativo puro (un segno se preso sul serio è già un mondo, dice nel suo statement) ma è un contenitore aperto veramente a tutto, a qualunque cosa, forma ed esperienza all’insegna del più trasparente, onnivoro e onnicomprensivo eclettismo.
In un certo senso il Padiglione Israeliano, dedicato quest’anno alla retrospettiva di Raffi Lavie (1937-2007), artista nato e vissuto a Tel Aviv che più di ogni altro rappresenta i “valori urbani, laici e locali incontaminati dalle narrative di qualsiasi ideologia determinata”, si legge nell’introduzione alla mostra, risulta in qualche misura coerente con questa scelta curatoriale: Raffi Lavie (nell’immagine una delle sue opere) è uno che ha rivendicato la “periferia” israeliana rispetto ai fasti del “Centro” occidentale, che ha portato a casa estetiche correnti negli anni sessanta e settanta, guardando a Jean Dubuffet e a Robert Rauschenberg, ma adattandole a un contesto locale dominato dalle presenze di artisti come Aviva Uri e Arie Aroch; che ha lavorato per sottrazione invece che per aggiunta, componendo immagini a base di pennellate libere, ingenue come di cancellature, abrasioni e ampie emergenze di vuoto; che ha sempre prediletto materiali poveri ed umili, come il compensato, per segnalare la doppia marginalità, geografica e spirituale, dell’essere israeliano ed ebreo. Tutte cose che, sulla carta, possono ben piacere a Birnbaum, anche se poi sul piano estetico i quadri di Lavie, con la loro discreta ma precisa appartenenza a un’ideale di pittura decisamente storicizzato, non vanno troppo d’accordo con i linguaggi più diffusi e attuali oggi, al cui confronto risultano esili e poco comprensibili da parte del pubblico non israeliano.
Cavalcano invece l’onda dell’antagonismo e della rivendicazione aperta, senza preoccuparsi troppo o niente affatto dei “valori visivi”, gli artisti selezionati a rappresentare la Palestina c/o Venezia (il cui spazio alla Giudecca era l’unico in cui i cataloghi, pur ampiamente sponsorizzati, venivano venduti anche alla stampa nei giorni dell’inaugurazione “per sostegno alla causa”), prima fra tutti Emily Jacir, vincitrice del Leone d’Oro per la migliore artista under 40 la scorsa edizione, e adesso impegnata ad “arabizzare” le fermate del vaporetto della linea 1 (quella che fa il Canal Grande) per sottolineare “secoli di scambi interculturali tra Venezia e il Mondo Arabo, chiaramente visibili sulle rive del canale” e forse anche per alludere a scenari futuri di radicale trasformazione culturale ed etnica della città lagunare. Un intervento che ha suscitato l’immediato entusiasmo di Arianna Di Genova dalle colonne del Manifesto e che invece suona prepotente, aggressivo e falsificante sul piano storico. Venezia, che ha evidentemente combattuto arabi e turchi (vd Lepanto) è certo la città più orientale della penisola, la “porta d’Oriente”: ma di un ‘Oriente che nei secoli è stato bizantino, armeno, naturalmente ebraico, copto, siriaco, greco e quant’altro prima che arabo. È stato culla di tutte quelle civiltà che a un certo punto sono state conquistate dagli arabi cui hanno in parte trasmesso quel complesso e ricco insieme di capacità tecniche e di linguaggi artistici che è ben evidente per esempio nella Grande Moschea di Damasco, probabilmente costruita dalle stesse maestranze che pochi anni prima lavoravano per gli imperatori di Bisanzio.
Infine: ci si permette di chiedere a Emily Jacir e anche ad Arianna Di Genova come pensa reagirebbe il sindaco di Damasco o di un’altra città araba se un artista europeo decidesse di riscrivere i nomi delle strade e dei monumenti in greco o italiano ?. Si urlerebbe immediatamente al neo-colonialismo. E forse si procederebbe a un rapido arresto dell’artista. Da noi invece si inneggia all’apertura e alla gioia. Però intanto dal fondo oscuro del cuore d’Europa riemergono a preoccupante velocità xenofobia e razzismo della specie più cruda e primitiva. Chissà forse anche l’arte farebbe bene a porsi il problema.
53° Esposizione Nazionale d’Arte, Giardini-Arsenale e varie sedi, Venezia, fino al 22 novembre. Orario: 10 – 18 tranne il lunedì (Giardini) e il martedì (Arsenale). Biglietti: euro 18; ridotto 8/15 euro. info: 041.5218828. Catalogo Marsilio. www.labiennale.org
Martina Corgnati, docente di Storia dell’arte contemporanea all’Accademia Albertina di Torino