Giochi proibiti – A Pescara la discriminazione è uno sport

Il 15 maggio scorso si è inaugurata alla sede espositiva delle Ciminiere di Catania l’edizione del “Premio Nazionale delle Arti”, una mostra tradizionalmente riservata a una rappresentanza dei migliori studenti delle Accademie italiane. Per la prima volta, su iniziativa dell’Accademia di Catania, ente ospitante, e dell’AFAM-MIUR, il Premio includeva una rappresentanza internazionale che, data la sede della mostra, nel cuore del Mediterraneo, si è intitolata “Mediterranean Workshop” e si è rivolta alle Università delle Arti e alle accademie del Mediterraneo. Curata da chi scrive, questa sezione, organizzata in poco tempo e con ancora meno mezzi, ha potuto includere solo una modestissima rappresentanza delle istituzioni mediterranee dedicate alle arti. Tuttavia fra le sette istituzioni invitate, che hanno partecipato ciascuna con 2 studenti, c’era la Hamidrasha School of Art di Beit Berl, Israele, insieme alla Helwan University – Faculty of Applied Art del Cairo e all’Institut Superieur des Beaux Arts di Tunisi (e poi a un’istituzione serba, una croata e una spagnola). I palestinesi non c’erano perché non c’era stato letteralmente il tempo di coinvolgere un’istituzione e provvedere alla necessaria, complicata logistica (visti , permessi ecc.). Ma l’anno scorso avevo curato, sempre in prima persona per la Regione Piemonte, la grande mostra intitolata Le Porte del Mediterraneo: e questa volta sì, avendone avuto il tempo, fra gli artisti invitati c’era l’israeliano Tsibi Geva e il palestinese Steve Sabella, oltre a un egiziano, un marocchino, un libanese (!), un turco, un’armena, un serbo, una spagnola, ecc ecc.
Come sempre in queste occasioni poi, gli artisti fanno amicizia, collaborano, si scambiano idee, progetti, pensieri. E così a Catania, dopo il primo momento di diffidenza, i ragazzi delle scuole d’arte hanno collaborato, si sono divertiti, hanno fraternizzato e hanno realizzato tutti insieme in una settimana delle bellissime installazioni. (Nell’immagine un particolare della mostra).
Allora viene da domandarsi: perché l’arte sì e lo sport no? Perché nelle mostre d’arte è possibile affiancare arabi e israeliani, o se così si vuole dire israeliani e palestinesi, e nello sport no? Semplice: il problema non è che “quei due Stati proprio non riescono a parlarsi” ma che in diversi paesi arabi (Libano, Siria ecc..) ancora esistono leggi che considerano imputabili di alto tradimento tutti quei cittadini che abbiano commercio di qualsiasi tipo con Israele. E anche altrove (Egitto) è comunque visto malissimo chi lo faccia per qualche ragione, anche se non viene punito per legge. Allora, per evitare il problema, gli organizzatori soprassiedono. Bisogna fare uno sforzo aggiuntivo importante per superare queste difficoltà, addirittura trovare la complicità di qualcuno che rischi in prima persona per invitare, per esempio, un libanese e un israeliano. In teoria questo non sarebbe possibile nemmeno alla Biennale di Venezia, anche la semplice partecipazione potrebbe, a rigore, essere considerato “alto tradimento”.
Eppure, se questo sforzo non si fa qui, dove mai si potrà fare? Al check point?.

Martina Corgnati, docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Accademia Albertina – Torino