traducibilità…
La settimana scorsa si è svolto presso l’Università di Bologna un interessante convegno sulla filosofia ebraica dal titolo un pò singolare “Between Shem and Yafet – Orizzonti e Frontiere della filosofia ebraica”. Vi hanno preso parte accademici e intellettuali di fama internazionale tra cui molti israeliani e francesi che si sono interrogati sui complessi rapporti che vi sono stati nel corso dei secoli tra la Tradizione ebraica e la filosofia greca. La mia relazione ha preso spunto da quell’insegnamento rabbinico che si interroga circa la possibilità di tradurre la Bibbia in un’altra lingua. Secondo la tradizione rabbinica infatti i libri sacri devono essere scritti nella lingua originale e con carattere quadrato pur se la posizione dei Maestri rispetto alla prima traduzione in greco, cioè la versione dei 70, fu tuttavia piuttosto conciliante. Nel commento, che i Maestri del Talmùd fanno intorno a questa mishnah, emerge tuttavia che alla traducibilità universale della Bibbia che secondo i Maestri conserverebbe il suo significato in tutte le lingue – secondo alcuni soltanto se tradotta in greco – c’è un ebraismo inalterabile e intraducibile, quello dei Tefillìn e delle Mezuzòt. Questi oggetti, che leghiamo su noi stessi e attacchiamo nelle nostre case, hanno una loro intimità che deve restare obbligatoriamente ebraica.
Roberto Della Rocca, rabbino