Un ricordo di Aldo Ascoli, ammiraglio di valore, ebreo perseguitato

La lettura del salmo 130 e dell’Izkor (la preghiera che ricorda i morti) da parte del rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni, subito dopo un breve cenno di saluto del presidente Ucei Renzo Gattegna che ha ripercorso le fasi salienti della vita dell’ammiraglio Aldo Ascoli, hanno segnato l’inizio della cerimonia, organizzata dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e dal Comando generale delle Capitanerie di Porto, che si è svolta al Centro bibliografico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in occasione del cinquantesimo anniversario dalla sua scomparsa.
“Credo che questo sia un evento importante di cultura e di memoria”, ha detto il Comandante generale del Corpo delle capitanerie di Porto, Raimondo Pollastrini, sottolineando che la memoria dell’ammiraglio Ascoli “ci avvicina nuovamente a personaggi storici che non devono scomparire dal ricordo” e prendendo spunto da questa occasione ha ricordato la storia del Corpo delle Capitanerie di Porto, che nato all’indomani dell’Unità d’Italia, vanta oggi undicimila militari con competenze essenziali.
La vita dell’ammiraglio Aldo Ascoli ebreo perseguitato durante la Seconda Guerra Mondiale che dopo una brillante carriera perse diritti civili e lavoro a causa delle leggi razziste del ’38, è stata ripercorsa dettagliatamente nella lectio magistralis del professor Bruno Di Porto già professore di Storia del Giornalismo e Storia Contemporanea all’Università di Pisa.
Aldo Ascoli nacque ad Ancona nel 1882 da Giuseppe e Elisa Costantini. Il padre era titolare di una ditta commerciale nel settore dei filati, ampliata in impresa industriale dal figlio Vittorio. A diciotto anni entrò in Marina frequentando l’Accademia navale dal 1900 al 1904 nel Corpo dello Stato maggiore. Durante la Prima Guerra Mondiale si distinse per il grande acume tattico nelle operazioni sul fronte del Piave, cosa che gli valse la medaglia d’argento, che rappresenta una delle venti decorazioni che ebbe nella sua vita. Nel 1919 sposò Adele Beer, discendente di Moisè Sabato Beer, il rabbino chiamato da Ancona a reggere la grande Comunità di Roma nel 1825, in piena Restaurazione, e seppe stabilire un buon rapporto personale con il pontefice Gregorio XVI.
Dopo molti anni di brillante carriera Aldo all’età di 56 anni fu posto in congedo assoluto dall’arma a causa delle leggi razziste del ’38. Il regio decreto del 20 gennaio 1944 e una circolare del 22 marzo dello stesso anno lo riammettevano in servizio. L’ammiraglio cessò dal servizio nel 1952 e morì a Roma il 9 giugno 1959, all’età di settantasette anni.
La cerimonia al Centro bibliografico, alla presenza della figlia Paola Ascoli Barone e di una piccola rappresentanza della famiglia, ha contribuito a riaccendere una fiammella, una luce sulla vicenda di uno di quei tanti ebrei che contribuirono a fare la Storia d’Italia.

Lucilla Efrati

Di seguito un estratto della lectio magistralis del professor Bruno Di Porto:
[…] Aldo Ascoli entrò a diciotto anni nell’Accademia Navale e la frequentò fino al 1904. Nel 1906 fu sottotenente di vascello. Prese parte alle operazioni di soccorso per il maremoto di Messina, partecipò alla guerra italo-turca, sbarcando in Libia, il 10 ottobre 1911, dall’incrociatore Re Umberto e meritò medaglia di bronzo. Nel 1912 fu nominato tenente di vascello. Si specializzò in artiglieria e nella Grande guerra, assegnato al Comando in capo di Venezia, operò sul fronte del Piave. La medaglia dì argento lì meritata, è una delle sue venti medaglie e decorazioni. Questa fu la motivazione: “L’opera sua è stata in ogni momento saggia, oculata, veramente fattiva. Nelle giornate del 13 e 14 novembre 1917, per mettere in assetto difensivo di nuova linea Piave – Vecchio Sile, ove già si aveva sentore di infiltrazioni di grosse batterie nemiche su motoscafo non armato, e nel far prendere il nuovo assetto difensivo alle batterie, dava mirabile esempio di ardimento, di sprezzo del pericolo e attaccamento al dovere”. Non si intende veramente questo elogio senza rammentare il clima di timore, di sconfitta, di resistenza, dopo lo sfondamento austriaco a Caporetto, con apprensione del paese unito da appena mezzo secolo. In quei giorni e in quell’anno del conflitto vi furono due suicidi di ebrei italiani per diversi e contemporanei motivi di scoramento: il senatore Leopoldo Franchetti, di parte liberale moderata, si uccise dopo la drammatica rotta di Caporetto, tale era il sentimento patriottico, e l’avvocato e scrittore Raffaele Ottolenghi, un filantropo ebreo, democratico e socialista di ispirazione profetica, si uccise per lo sconforto di vedere l’ Europa e l’ umanità dilaniarsi, dopo tante speranze di progresso e di pace, in una guerra di cui non si era vista la pari, con il risvolto degli ebrei nemici tra loro, a battersi negli opposti eserciti. L’ammiraglio Ascoli fu uno dei combattenti che fermarono la ritirata a quel punto decisivo, potendo la premessa della vittoria per l’anno dopo. Ebbe, nel 1918, il grado di capitano di corvetta, e riprese l’imbarco sui mari. […]

[…] Nel 1923 Ascoli fu capo della Sezione di Artiglieria presso il Comando militare marittimo di Venezia e nel ’25 conseguì il grado di capitano di fregata. Nel 1930 fu capitano di vascello. Dal ’32 al ’34 comandò l’incrociatore Giovanni delle Bande Nere. Nel ’35 fu capo di Stato maggiore del Comando in capo del Dipartimento marittimo di Taranto. Nominato contrammiraglio nel ’36, comandò il distaccamento di Massaua. Rientrato in Italia, comandò l’Arsenale di Taranto. Inaugurò il 1938 col grado di ammiraglio di divisione e col comando militare marittimo delle isole dell’Egeo, ma nel luglio apprese, con mesto stupore, dal manifesto degli scienziati razzisti di non appartenere, in quanto ebreo, alla razza italiana. Conseguenza di questa tant balzana quanto clamorosa premessa antropologica fu per lui, in ancora vigorosa età di 56 anni, col decreto legge del 22 dicembre 1938, il congedo assoluto dall’arma e dalla vocazione della sua vita, in parallelo al fratello Ettore, generale di corpo d’armata. La stessa esclusione toccò a 170 ufficiali ebrei dei vari gradi, senza contare i numerosi della Milizia volontaria sicurezza nazionale. Della Marina furono 27 ufficiali, di cui tre superiori. Con i soldati di leva, gli uomini in congedo provvisorio e gli allievi ufficiali si arrivò a sfiorare i 3.000 su una popolazione di 45.000. Reco la testimonianza familiare del mio fratello primogenito Arturo, classe 1916, allievo ufficiale di artiglieria a Potenza. Ero un bimbo di cinque anni e ricordo bene il suo ritorno a casa.
Ritirati, per forza, a vita privata, Ettore e Aldo seguirono dalle loro dimore l’avventura bellica del paese, fino all’ epilogo dell’ 8 settembre e alle nuove scelte che per loro si posero, sotto l’occupazione tedesca, sia per sfuggire alla cattura, come per riprendere un’iniziativa di responsabilità e di lotta. La signora Paola ha descritto, in una memoria per l’istituzione israeliana Yad vaShem, la perigliosa situazione della famiglia nella Villa Beer, che fu in parte occupata dai genieri tedeschi coi loro mezzi di trasporto. Premeva andar via e i numerosi parenti si divisero in diversi ripari. Gli Ascoli si trasferirono a Porto Recanati nell’albergo di Orlando De Bellis, un giusto onorato appunto dallo Yad vaShem, che procurò un peschereccio su cui raggiunsero il liberato Sud, mentre il fratello Ettore a settant’anni si unì ai partigiani e finì fucilato, il 14 dicembre 1943, dai tedeschi, a Cingoli. Giunto a Bari, l’ammiraglio Aldo si presentò alle autorità di governo del maresciallo Badoglio, pur sempre il legittimo governo, per impegnarsi nella sua Marina. Il regio decreto del 20 gennaio 1944 riammetteva in servizio i perseguitati politici e una circolare del 22 marzo chiariva l’estensione del provvedimento ai perseguitati razziali. Nella Marina, con successivi fogli d’ordine, furono riammessi venti ufficiali. Altri avevano superato, nel periodo della persecuzione, i limiti di età e l’ammiraglio Augusto Capon era stato preso nella retata romana del 16 ottobre 1943 e gassato all’arrivo in Auschwitz. L’ammiraglio Ascoli ebbe il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto dell’Italia liberata, e fu per questo corpo, così mi ha scritto il tenente Cargnello, figura di unione con lo Stato maggiore della Marina militare.
Ho detto delle venti medaglie. Tra le onorificenze, fu commendatore dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Ad evitare eventuali confusioni, devo precisare l’omonimia dell’ammiraglio Aldo Ascoli con l’avvocato Aldo Ascoli, che fu presidente della Comunità ebraica di Roma.
L’ammiraglio cessò dal servizio nel 1952 e morì a Roma il 9 giugno 1959, in età di settantasette anni. La città di Bologna aveva appena intestato una strada al nome del fratello Generale Ettore. Rievochiamo nei due fratelli, il caduto e il sopravvissuto, la lotta di liberazione, la militare e la resistenziale, con il contributo che gli ebrei d’Italia le diedero. […]