La Camera si pronuncia sull’uso del burqa

Il 22 giugno scorso, il Presidente della Repubblica francese Sarkozy, parlando davanti alle due Camere riunite, ha rilanciato il dibattito sull’uso del burqa, esprimendosi a favore di una legge che ne vieti l’uso, in quanto “simbolo dell’asservimento della donna”.
In Italia, pochi giorni dopo, il senatore Malan ha presentato una proposta di legge recante “Nuove norme in materia di travisamento in luogo pubblico” (A. S. 1650). E’ (almeno) la terza proposta di legge in materia, che fa seguito a quelle presentate a prima firma dei deputati Souad Sbai (il 6 maggio di quest’anno, con il n. 2422) e Paola Binetti (all’inizio della legislatura, il 30 aprile 2008, con il n. 627), le quali hanno anche titoli molto più espliciti: “”Modifica all’articolo 5 della legge 22 magio1975, n. 152, concernente il divieto di indossare gli indumenti denominati burqa e niqab” si intitola la proposta della Sbai; “Modifica dell’articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, in materia di utilizzo di mezzi, anche aventi connotazione religiosa, atti a rendere irriconoscibile la persona” (Binetti ed altri).
Riservandomi di entrare nel merito delle proposte in altra occasione, è interessante notare come esse provengano da parlamentari di diverso orientamento: la prima ad assumere l’iniziativa, insieme ad altri sette deputati (Bobba, Malgaro, Colaninno, Farinose, Grassi, Mosella e Sarubbi) è stata la parlamentare del partito democratico Paola Binetti, nota per le sue posizioni cattoliche. A distanza di un anno analoga iniziativa è stata assunta dalla deputata del Popolo della libertà Souad Sbai, musulmana e presidente (dal lontano 1997) dell’Associazione donne marocchine in Italia (la sua proposta è stata firmata anche dall’onorevole Manlio Contento). L’ultimo della piccola lista è il senatore del Popolo della libertà Lucio Malan, di confessione valdese.
Dunque da entrambi gli schieramenti e da parlamentari di diverse fedi religiose giungono proposte che, pur nella diversità degli accenti, hanno come comune denominatore, più esplicito nelle proposte di iniziativa femminile, quello di affrancare le donne da costumi che ne evidenziano la condizione di asservimento agli uomini, anche con l’obiettivo di garantire la sicurezza dello Stato.

Valerio Di Porto, Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane