Elia Valori, cambiare la strategia di Israele e uscire dalla logica del “piccolo Stato”
Sul numero di luglio del mensile Formiche è uscito un interessante articolo del Professor Giancarlo Elia Valori, presidente della centrale finanziaria generale e della Centrale sviluppo mediterraneo.
Interessante e innovativo, perché Valori propone una vera e propria rivoluzione nella strategia internazionale di Israele, dopo la fine della guerra fredda e della sua struttura bipolare, e a seguito del cambiamento dei sistemi politici e dei modelli culturali in Occidente, ma anche in Russia e in Cina.
“Oggi non si tratta più solamente di creare colonie per gli ebrei europei, dell’Est slavo o del Medio Oriente, ma la questione vera è quella di definire un futuro geopolitico globale per lo Stato di Israele, una strategia globale ebraica e israeliana” suggerisce Valori.
Quale?
Secondo lo studioso, che da anni si occupa di ebraismo (nel 2007 ha pubblicato per Mondadori il saggio “Antisemitismo, Olocausto e Negazione”), è docente presso l’Università ebraica di Gerusalemme e si occupa attivamente di promuovere la pace in Medio Oriente, il nuovo obiettivo strategico per Israele e il mondo ebraico non deve più essere la terra, ma il mare. “La vera questione è di pensare a Israele come a una potenza regionale mediterranea sull’asse che divide il Mare della Unione europea, il Mediterraneo, dal Golfo Persico, l’asse marittimo che dà inizio e sostegno alle economie in crescita dell’Asia e, per molti aspetti dello stesso occidente”.
L’Iran, sostiene Valori, “sta infatti cercando di creare una sorta di “Alleanza del Golfo Persico” tra Teheran, Federazione Russa, Cina e Paesi del Golfo, Emirati e Arabia Saudita inclusi. Si tratterebbe quindi di chiudere l’Unione Europea e gli Stati Uniti in un’area mediterranea esclusa dai grandi traffici degli idrocarburi e rendere difficile all’UE e ai suoi alleati l’accesso alla Cina e all’Asia centrale.” In questo contesto, Israele diventa vitale per la sua posizione geografica, cuscinetto tra il mare Nostrum e l’Oriente. Deve quindi far leva sull’interesse della Cina a tenere aperta la strada verso il Mediterraneo e il suo mercato, e su quello della Russia a portare il gas dei suoi giacimenti attraverso la linea sud che sbocca nello Ionio. Su queste considerazioni dovrebbe giocarsi una nuova strategia di alleanze per rendere Israele un attore geopolitico globale, ed evitare la marginalizzazione del Medio Oriente dalle direttrici di sviluppo economico, una marginalizzazione che renderebbe Israele facile preda per le alleanze regionali islamiste o arabo occidentali.
Valori ipotizza un nuovo triangolo strategico/economico tra Europa, Usa e Cina/Russia, in cui Israele potrebbe assumere un ruolo chiave, se il mondo ebraico riuscirà a uscire dalla logica di “piccolo Stato” e a pensarsi come “global power”, al pari dell’Islam. Una “postura di attacco” da realizzare, sostiene Valori, con gli stessi criteri che stanno applicando gli islamici – psicologici, di comunicazione e finanziari -, e che modifichi la ormai obsoleta “postura di difesa” che ha prodotto scarsi risultati.
Rimandiamo alla lettura integrale del saggio chiunque sia interessato all’argomento, perché l’analisi del professor Valori è estremamente articolata e difficile da riassumere. Quello che colpisce è l’originalità del suo “lateral thinking”: per risolvere la drammatica situazione di Israele bisogna cambiare radicalmente ottica, uscire dalla palude di una pace che non si riesce a stringere e rilanciare il ruolo strategico del Paese nelle grandi questioni che oggi agitano il mondo.
Viviana Kasam