Noterelle – Il dizionario portatile e gli stolidi buoni

La prima di queste noterelle (29 marzo) era dedicata agli “stolidi buoni”, l’espressione adoperata da Giuseppe Mazzini per definire gli ebrei che lo accolsero esule a Londra. Mi piacciono i giochi di parole. Siamo d’estate, tempo di vacanze: possiamo concederci qualche distrazione. Da Georges Perec in poi l’enigmistica è un capitolo centrale nella storia degli ebrei europei. Raymond Aron e Pierre Nora erano due personalità diverse. Ma con lo stesso cognome, a lettere capovolte. Primo Levi era molto orgoglioso dei suoi palindromi (In arts it is repose to life; è filo teso per siti strani). Trovo rilevante che l’anagramma del mio nome, “vana libertà colgo” (coerente con le delusioni che spesso ricavo dalle cose che scrivo) sia associabile all’anagramma speranzoso che s’era scelto il re umorista che ispirò Pirandello, Alberto Cantoni, “nato con la libertà”.

Chiedo dunque il conforto dei lettori perché mi aiutino a compilare il dizionarietto degli stolidi buoni – un giorno mi piacerebbe inaugurare un “sito strano”: www.stolidibuoni.it. Mi sono accorto che l’ossimoro della bonaria tontaggine è ricorrente. In Piemonte è il tacchino la nostra mascotte, il “dindo”: dal francese coq d’Inde, il commestibilissimo “pitu” per i lettori di Argon, racconto del “Sistema periodico”. Le voci più belle si registrano a Trieste. “Malmasal”, più esattamente “marmasal”, è la variante tergestea. Ne riprendo la definizione da una lettera che mi scrisse Giorgio Voghera: “MAR significa amaro, MASAL significa sorte, destino, fortuna (vox media). Il plurale MESALIM sono sia le costellazioni, sia i dadi, gli ossicini con cui si divinava la sorte; qualche cosa dunque come il termine latino sortes, signa. Malmasal è quindi alla lettera chi ha una sorte amara, ma, nell’uso corrente, corrisponde forse meglio al triestino disgrazià che all’italiano sfortunato. Ossia, si dice di persona che ha avuto la sfortuna di nascere un po’ inetto, un po’ tonto, un po’ un dandan, per dirla ancora alla triestina: non necessariamente proprio scemo. Non direi però che nell’uso del ghetto equivalga a noncurante, pelandrone, indifferente; piuttosto tanghero o qualche cosa di simile”. A Trieste il malmasal ha una generosa “mare grega” sveviana, che nutrendoci con generosità allarga i nostri confini lessicografici: “astuto imbecille”, così Zeno qualifica il rivale Guido con la traduzione di “Koutopòniros”, lemma senza il quale sarebbe priva di ogni sapore una delle più intense sequenze della letteratura ebraico-triestina.

Esistono altri modi per indicare la bontà stolida? Chiedo aiuto al lettore in vacanza. Se scriverete a _natoconlalibertà@libero.it correrete il rischio di imbattervi in un fan della Casa della Libertà, non di Alberto Cantoni; se cliccherete su www.stolidibuoni.it vi verrà detto che il browser non riesce a trovare il server. Se invece indirizzerete ad alberto.cavaglion@libero.it avrete la gratitudine del vostro umile malmasal.

Alberto Cavaglion