Giornata della Cultura Ebraica – “La sfida del dialogo tra le città” Intervista a Matteo Renzi, sindaco di Firenze
Sindaco Renzi, prenderà parte alle celebrazioni per la Giornata della Cultura Ebraica?
Sicuramente. Ho partecipato già da presidente della Provincia di Firenze e oggi, a maggior ragione, farò sentire la vicinanza della città di Firenze verso una Comunità che tanto ha dato e potrà dare per la storia e il futuro di Firenze. La Comunità ebraica non è un’isola di Firenze o una riserva da salvaguardare, ma fa parte di Firenze. È Firenze. C’è chi dice che i Medici siano stati in origine ebrei. Non lo so, non mi voglio avventurare in questioni storiche di cui non potrei avere la competenza. Ma senza scomodare i padri della patria di Firenze è evidente a tutti cosa ha fatto la Comunità ebraica per questa città. Sempre in qualità di presidente della Provincia ho contribuito a organizzare, e vi ho partecipato personalmente, i viaggi degli studenti fiorentini ai campi di concentramento di Auschwitz insieme a Nedo Fiano, sopravvissuto a quella terribile pagina della storia. Diceva Elias Canetti che “Il vero valore del ricordo è sapere che il passato non è mai passato del tutto” e allora bisogna tenere viva la memoria di ciò che di orribile vi è stato nel passato a perpetuo monito affinché non si ripeta. Allo stesso tempo, però, dobbiamo tenere viva la cultura che ogni giorno si rinnova. La cultura ebraica non è soltanto l’antica tradizione a cui anche la nostra civiltà è indissolubilmente legata, ma si esprime anche oggi ai massimi livelli: basta pensare che molti fra più importanti scrittori contemporanei sono ebrei.
Che cosa conosce e apprezza della cultura ebraica?
Come dicevo apprezzo e sono affascinato dai grandi scrittori anche contemporanei, basti pensare a Yehoshua, Grossman, Potok, che sono riusciti a tenere viva la difesa della loro tradizione oltre alla difesa stessa della loro esistenza perennemente minacciata. Allo stesso tempo sono riusciti ad avere una visione aperta verso la pace nel Medio Oriente, unica via da percorrere. Come dice Grossman: “Essere uomini che combattono per la pace”. Da presidente della Provincia, nel 2008 feci esporre la bandiera di Israele sulla facciata di Palazzo Medici quando qualcuno pensò di boicottare gli scrittori ebrei al salone del libro di Torino. Sono inoltre affascinato come credente, come cattolico, dalla mistica ebraica. Martin Buber in uno splendido libro dal titolo Il cammino dell’uomo dice che “La nostra autentica missione in questo mondo in cui siamo stati posti non può essere in alcun caso quella di voltare le spalle alle cose e agli esseri che incontriamo e che attirano il nostro cuore; al contrario, è proprio quella di entrare in contatto, attraverso la santificazione del legame che ci unisce a loro, con ciò che in essi si manifesta come bellezza, sensazione di benessere, godimento”. Penso che queste parole dovrebbero essere cardine per ciascun uomo politico. Impossibile, poi, non essere affascinato dalla cucina ebraica. In un tempo in cui domina il cibo globalizzato resiste una cultura che trova origine dal Sacro, dalla Bibbia stessa. Non vorrei essere superficiale su questo, ma la salvaguardia della vita dell’uomo che ne deriva è affascinante.
Una domanda sul conflitto tra israeliani e palestinesi. Firenze, città dalla grande visibilità internazionale, può avere un ruolo importante nel dialogo tra le due parti?
In un articolo su Moked – il portale dell’ebraismo italiano, tempo fa si citava La Pira: “Fra i nostri cittadini, quelli che sono musulmani li aiuteremo ad esserlo meglio, quelli che sono ebrei ad essere ebrei migliori”. Firenze è l’emblema di questo, è il luogo della convivenza per eccellenza. L’essere cittadino comporta la comunanza di valori che non vuol dire l’appiattimento degli stessi su un unico modello cancellandone le specificità, bensì il rispetto del cittadino, della persona con i valori che si porta dietro. I cittadini sono portati alla convivenza e alla fratellanza per la costruzione della propria città per sé e per i propri figli e proprio dalla città si può partire allora per un nuovo modello di convivenza. Pensiamo a Gerusalemme, la città delle città. Allora perché non riprovare a ripartire dal dialogo tra città per arrivare alla pace fra cittadini?
Adam Smulevich