Giornata della Cultura Ebraica – Qui Roma/Gianni Ascarelli: “Produrre cultura significa progettare il futuro”
“Produrre cultura significa promuovere azioni future, interpretare i significati dell’ebraismo nel mondo contemporaneo”, parte in quarta Gianni Ascarelli quando, ricevendoci nel suo studio, nel cuore di Roma, gli domandiamo cosa significa per lui essere assessore alla Cultura della Comunità Ebraica di Roma.
Ascarelli, architetto, sposato, un figlio, dirige la parte urbanistica di Studio Transit un gruppo da lui fondato negli anni ’70 insieme ad altri tre soci, docente alla Facoltà di ingegneria dell’Università dell’Aquila dal 1998, in aspettativa da quando nell’aprile 2009 è stato nominato presidente di Roma Metropolitane subentrando a Chicco Testa.
“Sono contrario alla definizione di assessore alla Cultura, spiega, perché la cultura è per definizione un qualche cosa che non può essere burocratizzato e cristallizzato, un qualche cosa che va incentivato e sostenuto. Secondo me essere assessore alla Cultura significa svolgere un compito di vigilanza e di indirizzo di una cultura che si è espressa nei secoli”.
Allora significa trasmettere il ricordo della nostra storia, delle nostre tradizioni…
“No non soltanto. Non è sufficiente che si parli solo di argomenti tradizionali, anche la Shoah, che è un evento disastroso nella storia dell’umanità intera e non solo del popolo ebraico, è una cosa che dobbiamo lasciare alle nostre spalle. Vi sono molti argomenti sui quali dovremmo riflettere, uno di questi è sul crollo demografico dell’ebraismo italiano. Prima della guerra, gli ebrei in Italia erano 46 mila ora sono 21 mila se si considera l’apporto della comunità libica (circa 8 mila persone) ciò significa che gli ebrei italiani sono 13 mila. L’ebraismo si è ridotto a un quarto e non basta la persecuzione delle leggi razziste per spiegare questo depauperamento, non basta pensare allo Stato di Israele che attira i giovani, il fatto è che noi non siamo più appealing. Che dal dopoguerra l’Italia non è più un paese che stimola l’interesse ebraico. Allora io penso che se è vero che gli ebrei sono il sale dell’umanità per l’apporto dato alla società e se c’è questo depauperamento, vuol dire che gli ebrei in questo paese si trovano male e se ne vanno. Bisogna interrogarsi su questa perdita di fascino da parte dell’Italia dal momento che stanno nascendo nuove comunità in tutto il mondo anche in Germania dove è avvenuto quello che è avvenuto, mentre in Italia le persone si allontanano.
Quali argomenti potrebbero far nascere un dibattito culturale interessante?
Ce ne sono moltissimi, per fare qualche esempio si potrebbe pensare a un grande convegno su tematiche del decalogo a confronto, si potrebbe analizzare a fondo la figura di Paolo. Paolo è il costruttore della Chiesa cattolica: abbiamo ascoltato l’opinione di qualche autorevole rabbino sull’interpretazione dell’ebraismo da parte di Paolo?. La Chiesa ha fatto un oscuramento totale sul portato storico dell’ebraismo dai primi secoli dell’Era volgare fino a pochi decenni fa, ma c’è stato anche un oscuramento ebraico (ad esempio a Roma) sull’apporto culturale di molte importanti famiglie come Ascoli, Milani, Almagià, Volterra, Alatri, Enriques, Spierer (era il nome di mia madre), Pincherle (era il padre di Moravia) alla storia del paese, al Risorgimento. Un ebraismo signorile che rappresentava un secondo polo rispetto all’ebraismo che abitava nelle vicinanze del ghetto e che in quel tempo, sotto la spinta risorgimentale ha dato un grande impulso alla crescita culturale del paese e noi non possiamo dimenticarlo. Alla vigilia delle persecuzioni fasciste c’erano circa trenta deputati e senatori ebrei, attualmente tutto questo non c’è o c’è in minima parte.
In sostanza, secondo me manca un substrato culturale denso su tematiche dell’ebraismo. A Roma nel dopoguerra il rav Toaff è riuscito a ricomporre le basi di un ebraismo che era uscito distrutto dalla guerra, ma ora noi non possiamo occuparci solo di Memoria, di Shoah, o spiegare alla gente come era fatto il ghetto. Questa è comunicazione di cultura tradizionale. Penso che a livello culturale stiamo producendo troppo poco. Dobbiamo sforzarci di dire dove stiamo andando.
Che cosa pensi allora della Giornata Europea della Cultura Ebraica, questo non è un modo di produrre cultura?
La Giornata della Cultura così come il Giorno della Memoria sono meritorie sotto moltissimi aspetti, ma non capisco l’aspetto ritualistico che certe giornate hanno nel nostro calendario. Voglio ricordare che la cultura ebraica non ammette il ritualismo perché è una cultura dinamica. La capacità degli ebrei di penetrare fino allo spirito più profondo di una società ci è stato molto invidiato, ma noi dovremmo identificare argomenti di approfondimento che diano ogni volta un senso a queste giornate. Ricordiamo altri momenti non solo la Shoah, perché non approfondiamo la cacciata degli ebrei dalla Spagna, la storia degli ebrei siciliani costretti a battezzarsi o ad andare via. Naturalmente non vedo in negativo le manifestazioni per raccogliere le testimonianze dei deportati né vedo in negativo i viaggi ad Auschwitz, sono tutte manifestazioni necessarie ma non sufficienti.
Quale è la medicina per cambiare la situazione?
E’ duplice, da una parte dobbiamo cercare di aprire le coscienze dei giovani a quello che è stato il portato dell’ebraismo in Italia e all’estero. Dall’altra, oltre al ricordo di ciò che l’ebraismo ha fatto per l’Italia deve esprimersi qualcosa di nuovo, e deve farlo subito prima che l’ebraismo sia oscurato da se stesso, dalla Shoah e dalla Memoria. Occorrono nuove proposte, i più grandi scienziati dell’800 e del ‘900 erano ebrei, che cosa abbiamo noi?
Lucilla Efrati