Giornata della Cultura Ebraica – Qui Torino. Un’escursione per il ghetto, una sinagoga d’eccezione
Partenza da piazza Carlina – piazza Carlo Emanuele II per i profani, ribattezzata così dai torinesi a gioconda memoria delle attitudini femminee del principe di Savoia – angolo via Des Ambrois alle ore 11. E’ il cuore del settecentesco ghetto torinese. Di qui comincia, in questa luminosa domenica settembrina, l’escursione tra i percorsi ebraici della città organizzata per la Giornata della Cultura.
Il folto pubblico si raduna, dopo l’immancabile cappuccino alla Societè Lutèce, sotto l’ombra di un grosso albero in una delle più eleganti piazze del Piemonte. Inizia qui la spiegazione di Mariacristina Colli, esperta in beni culturali e vecchia conoscenza della Comunità. I primi insediamenti ebraici in Piemonte – c’informa- risalgono al secolo XV e furono costituiti da ebrei fuggiti dalle persecuzioni nella Francia orientale e nella Spagna allorché nel 1492, obbedendo all’Inquisizione, i re cattolici Ferdinando e Isabella costrinsero alla conversione o alla fuga, o a perire sui roghi i sudditi ebrei e arabi. Il complesso maggiore del ghetto torinese risale al 1679. Seguì di più di un secolo l’edificazione del ghetto romano, ordinata dal papa nel 1555. Per questi cento anni in più di libertà rispetto agli altri loro correligionari italiani – spiega la guida – gli ebrei piemontesi devono ringraziare i buoni rapporti (soprattutto economici) con la famiglia Savoia.
La passeggiata prosegue. Ci ritroviamo nelle vie del ghetto nuovo, costruito verso la fine del ‘700 in seguito ad un incremento numerico della comunità ebraica. Esso comprendeva due blocchi di case ai quattro angoli dalle vie Maria Vittoria (allora Via San Filippo), Bogino (allora vie delle Scuderie del Principe di Carignano), Principe Amedeo (allora via d’Angennes) e San Francesco da Paola. Proseguendo per via Bogino, si nota che l’isolato successivo è costituito da una serie
omogenea di decorosi caseggiati con grandi cortili, lungo i quali si snodano i caratteristici ballatoi. La guida richiama puntualmente l’attenzione sui particolari caratteristici del ghetto: le finestrelle quadrate che si affastellano sulla facciata, segni dei tanti “ammezzati” costruiti per la necessità di far convivere parecchie decine di famiglie in un vecchio caseggiato che non è certo un grattacielo; il portone costituito da sbarre di ferro che doveva far passare luce e aria, e che veniva chiuso al tramonto e riaperto all’alba, perché gli ebrei non uscissero di notte.
Ma non era da molto finita la costruzione, che il nuovo re Carlo Alberto decise di abolire
questa normativa medioevale.
Arriviamo così all’emancipazione e allo Statuto albertino, siamo alla fine del periodo storico di segregazione degli ebrei piemontesi. Contemporaneamente ci avviciniamo anche alla tappa conclusiva, in senso topografico, della passeggiata mattutina.
“É quella della moneta da due centesimi!”, fa insistentemente notare un bambino a sua mamma. Lo sanno pure loro, bambini. La Mole Antonelliana è universalmente riconosciuta come simbolo della città di Torino. Pochi però sanno – eccezion fatta per gli ebrei torinesi che amano , non senza una punta di orgoglio, ricordarlo di frequente – che originariamente il lavoro del noto architetto novarese Alessandro Antonelli fu commissionato nel 1859 dalla Comunità ebraica. Proprio così: la Mole è nata per essere la sinagoga di Torino. Quale miglior celebrazione dell’emancipazione quarantottesca se non l’edificazione di uno maestoso Beth-Hakenesset di 167 metri nel cuore della capitale sabauda? Purtroppo un progetto così ambizioso si rivelò ben presto economicamente insostenibile per le casse della Comunità, la quale fu costretta a cedere l’edificio ancora in via di costruzione al Comune di Torino. Oggi questo singolare e misterioso capolavoro dell’architettura tardottocentesca costituisce uno dei maggiori poli d’attrazione turistica di una città che ha ormai, a pieno titolo, lanciato il suo nome – Torino – in cima alle liste delle agenzie di viaggi di mezzo mondo. Ospita inoltre il più bello e curato Museo del Cinema d’Italia. E qui non mancano di confluire le famiglie di gitanti domenicali che hanno deciso di trascorrere la mattinata facendo una suggestiva passeggiata per le vie del vecchio ghetto.
Manuel Disegni