Gli Yamim Noraim e le Torri gemelle in una lezione del rav Riccardo Di Segni
In occasione degli “Yamim Noraim” (questi giorni di timore reverenziale) rav Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità Ebraica di Roma, ha tenuto una lezione sull’attentato alle Torri gemelle, avvenimento che coincide temporalmente con questo periodo. Riflettere su tale avvenimento è importante soprattutto per alcuni aspetti di nostro interesse in preparazione di questi giorni. “Dopo l’11 settembre – afferma rav Di Segni – la nostra vita è cambiata, quest’anno il Comune di Roma ha deciso di far erigere un memoriale in ricordo delle Twin Towers innalzando due colonne prese da scavi antichi e piantandole al centro di Roma, a piazza di Porta Capena, all’inaugurazione del monumento era presente anche Nancy Pelosi, speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, che ha speso parole d’affetto per la cultura ebraica. Il particolare curioso sta nel fatto che quella piazza non è una piazza qualsiasi, il talmud dice che il messia sta alle porte di Roma”, la domanda da porsi è quali siano realmente le porte di Roma. “Le mura di Roma che vediamo oggi – ha proseguito rav Di Segni – furono costruite sotto l’imperatore Aureliano e sono più larghe delle mura originarie che passavano al limite del circo massimo dov’era porta Capena, la porta d’ingresso a Roma per chi arrivava da Sud. Si presume quindi che tutti quelli che arrivarono da Eretz Israel, passarono per quella porta e secondo fonti romane lì si raccoglievano continuamente poveri , disperati e malati, la maggior parte ebrei. Secondo la Ghemarà il messia si riconosce perché sta in quel luogo e cura in maniera particolare gli ammalati. Che nella stessa piazza si sia fatto il memoriale dell’11 settembre è una cosa particolarmente interessante e degna di ulteriore riflessione. L’11 settembre del 2001 era stata appena letta la parashà di Ki Tavò, in cui si dice: «Il Signore ti colpirà finché non ti farà crollare le tue grandi mura nelle quali tu poni fiducia». Questo è un discorso che riguarda il popolo ebraico, ma nel momento in cui sono crollate le due Torri gemelle, sono saltati i riferimenti materiali su cui si posava tutto il mondo occidentale”.
Ovviamente permane in alcuni ambienti la leggenda metropolitana fortemente antisemita per cui nell’attentato alle Torri gemelle non vi siano vittime ebree. Secondo questa teoria strampalata le persone di religione ebraica furono avvertiti per tempo con l’ordine di non presentarsi quel giorno a lavoro. Su questo rav Di Segni è molto preciso: “Tra le 2300 vittime di quell’evento ci sono stati numerosi ebrei, sia nei passeggeri degli aeroplani dirottati, sia tra le persone delle Torri e tra le forze dell’ordine intervenute per salvare i sopravvissuti”.
Dal punto di vista halakhico sorgono però alcune problematiche relative ai morti presunti. Per le presunte vittime si deve fare Avelut? Se un uomo rimane vedovo perché ha perso la moglie in quell’incidente, ma non esistono prove, si può risposare? E se una donna perde il marito, ma non esistono prove, si può risposare? Rav Di Segni spiega: “Qui si apre un contenzioso halachiko piuttosto delicato, su cui c’è sempre stata una forte pressione femminista nella nostra generazione: il problema dell’Agunah, la persona che è “ancorata” e non si può liberare da un vincolo, ciò può dipendere da due situazioni: dal fatto che ci sia un marito che non vuole concedere il divorzio alla moglie oppure dal fatto che il marito sia scomparso. Nel secondo caso c’è una persona che si vuole ricostruirsi una vita e che ha il diritto di farlo, ma che nell’ipotesi di ricomparsa del marito commetterebbe il peccato di adulterio con le relative conseguenze del caso. Questi problemi sono sempre stati posti nella storia ebraica, su scala purtroppo industriale dopo la Shoa. In Italia è stato permesso ad alcuni di risposarsi sulla base di testimonianze relative alla morte di qualcuno nei campi per poi ritrovare il presunto morto redivivo. Il problema si è riproposto l’indomani dell’attentato alle Twin tower. Il beth din of America, ha trattato e ha risolto 15 casi di uomini scomparsi nelle Torri.” Qual è il ragionamento che è stato fatto dai tribunali americani? Secondo rav Di Segni: “Si distinguono in linea di massima tre possibili situazioni, la prima situazione in cui noi abbiamo la possibilità di trovare dei resti umani, la seconda situazione è se abbiamo delle prove che la persona fosse sul luogo dell’incidente, la terza quando noi abbiamo solamente un sospetto che la persona potesse essere presente al fatto, ma non ne siamo completamente sicuri.
Sul caso delle Agunot, la regola rabbinica, ha alleggerito la procedura legale, che si basa sulla testimonianza di due ebrei adulti osservanti, che non devono essere in rapporti di parentela tra di loro, ne con i giudici del tribunale, ne ovviamente con gli interessati alla causa. Quando si parla invece dei casi sopracitati, tutte queste regole saltano e ci si può basare su una sola testimonianza anche di un parente, di una donna e di un non ebreo, condizioni che normalmente non verrebbero accettate”.
Negli anni si è discusso molto delle metodologie adottate per costruire le prove: “Attualmente dal punto di vista medico-legale – continua rav Di Segni – ci sono tre criteri per accertarsi dell’identità: le impronte digitali, il dna e la radiografia dei denti. Secondo alcuni però ognuna di queste prove deve essere affiancata da un’altra per poter giungere ad una più precisa conclusione. Quando non si trovano dei resti umani la situazione è estremamente complicata. Nel famoso caso del libraio di Brooklyn hanno ricostruito attraverso una sua telefonata l’orario in cui si trovava effettivamente in ufficio. Nel caso invece in cui si ha una persona scomparsa e si presume ci sia stato un incidente senza esserne però certi, rientra in gioco la Halakhà, infatti se per esempio qualcuno si immerge in un bacino d’acqua di cui si vedono i confini e non riaffiora, quella persona si da per morta, se una persona si immerge invece in un bacino d’acqua di cui non si vede la fine, non si può affermare con certezza la sua morte. Alcune persone poi per debiti contratti, per una vita familiare burrascosa decidono volontariamente di sparire, quindi nel momento in cui si deve sentenziare sulla potenziale scomparsa o meno di qualcuno, si dovrebbero analizzare anche i recenti comportamenti sociali di quella persona”.
Prendere in esame tali problematiche è qualcosa che dovrebbe coinvolgere tutti noi. Quando si parla di crisi coniugali, di drammatici litigi tra coniugi, di persone in condizioni economiche disperate, non c’è nulla di nuovo, tutto è documentato nei testi, quello che dovrebbe far pensare è la crescita esponenziale di simili casi negli ultimi anni. Il tema del gestire nel modo giusto la propria attività economica, di gestire correttamente i propri rapporti familiari è qualcosa che deve diventare motivo di riflessioni soprattutto nei giorni che anticipano Kippur.
(a cura di Michael Calimani)