Un anno per ascoltare

Sabato, primo giorno di Capodanno, non si suona lo shofàr. Ma ancora più forte del suono dello shofàr è il silenzio: come dice il salmista Lechà dumià tehillà, ‘a te il silenzio è lode’. Quindi in questo giorno di shabbath Rosh hashanà, in cui lo shofàr rimane in silenzio, in un certo senso, è l’uomo stesso che diventa shofàr, secondo quanto dicono i Maestri: la mitzvà dello shofàr di Rosh hashanà e di Kippùr deve essere fatta con corna di ariete che siano ricurvi, e questo per simboleggiare che l’uomo deve essere come lo shofàr, si deve curvare per accettare il regno di Dio.
Possiamo allora forse capire il senso della profezia di Isaia più volte richiamata in questi giorni: ‘In quel giorno sarà suonato il grande shofàr e i dispersi dall’Assiria e gli sperduti nella terra d’Egitto torneranno e si inchineranno al Signore, sul sacro monte, a Gerusalemme: in quel giorno l’uomo stesso si trasformerà in un grande shofàr – dalla forma elicoidale e ricurva simile a quella del DNA – e il Signore inspirerà in lui uno spirito vitale, come al momento della sua creazione, avvenuta di Rosh hashanà.
In quel giorno – proprio come in questo shabbath Rosh hashanà – l’uomo non suonerà lo shofàr, ma potrà ascoltare in silenzio la parola del Signore, essendo divenuto lui stesso il grande shofàr. Con i miei auguri di shanà tovà, ketivà vahatimà tovà per un anno che sia veramente di pace e tranquillità per tutti, in Terra d’Israele e nei paesi della Diaspora.

Rav Scialom Bahbout