tefillà…

In tutte le Sinagoghe Ashkenazite del mondo (ma non in quelle di rito italiano), nel testo delle Selichot e nel momento solenne della fine del Kippùr, a Neilà, si canteranno due inni, Israel noshà’ e Ezkera E. weehemaya. La particolarità dei due inni è che sono stati scritti da due poeti, padre e figlio, Shefatya e Amitai, vissuti in Puglia, a Oria, undici secoli fa, alla fine dell’ottocento. A quei tempi Oria era nel percorso che metteva in comunicazione l’Oriente con ll’Italia e anche per questo ospitava una comunità ebraica fiorente e vivace. Non sappiamo quanti ebrei vivessero allora a Oria, ma sicuramente erano poche centinaia, nelle dimensioni di quella che oggi si direbbe in Italia una media-piccola comunità. Undici secoli fa una “piccola” comunità italiana senza complessi e tormenti identitari era in grado di raccogliere e trasmettere con vitalità una cultura ebraica originaria, le cui tracce sono evidenti fino ad oggi. La forza di una comunità non si misura solo con i numeri. Sono veramente inarrestabili le tendenze suicide delle nostre comunità di oggi?

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma