Ahmadinejad ospite al Larry King Show Il dittatore strizza l’occhio ai media americani

C’è un luogo che Mahmoud Ahmadinejad, presidente-dittatore della Repubblica Islamica dell’Iran, ama frequentare ogni volta che viene a New York a parlare (o sparlare) all’Assemblea generale delle Nazioni Unite: il salotto del Larry King Show, uno dei programmi televisivi statunitensi più celebri e amati dal pubblico del piccolo schermo. Si sa, anche i dittatori curano la loro immagine, così “l’ultimo discendente del profeta Maometto” si è presentato negli studi televisivi del programma vestito di tutto punto, con un elegante vestito grigio a conferirgli tono, autorevolezza e una certa aria da mediorientale in viaggio d’affari in Occidente. Arredamento sobrio, bandiera iraniana sullo sfondo, a interloquire con il barbuto dittatore uno dei “santoni” del giornalismo americano, Larry King, nome d’arte per Lawrence Harvey Zeiger, oltre quarantamila interviste realizzate in carriera e otto matrimoni alle spalle. “Chissà quale sofferenza avrà provato l’antisemita Ahmadinejad nello stringere la mano ad un personaggio che impersona al meglio lo stereotipo dell’ebreo basso, brutto, gobbo e col nasone”, si chiede un blogger americano (non ebreo). Insofferenza abilmente nascosta durante l’intervista, che è stata comunque “una partita di scherma” (soprattutto nella seconda parte) tra i due, con stoccate da una parte e dall’altra. King, memore delle critiche ricevute per essere stato troppo morbido e conciliante con il suo scomodo ospite l’anno scorso, ha cercato, attraverso domande pungenti e dirette, di mettere in difficoltà Ahmadinejad sin dall’inizio. Così, a differenza della passata intervista, quando l’attacco fu molto soft (“Che cosa prova ad essere a New York?”), questa volta la trasmissione è iniziata con un video di Obama, nel quale il presidente americano ha accusato il dittatore iraniano di voler sviluppare un programma nucleare non regolamentato dalle leggi internazionali. Chiaro il riferimento al secondo impianto iraniano per l’arricchimento dell’uranio, attualmente in costruzione nelle vicinanze della città di Qom. Ahmadinejad, fingendosi quasi stupito, si è giustificato dicendo di non aver violato il regolamento dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, “in quanto tale regolamento prevede l’obbligo di informare l’Agenzia solamente sei mesi prima che un impianto sia operativo. Siccome quello di Qom non sarà funzionante prima di un anno e mezzo, non ho fatto niente di male”. A contorno di queste affermazioni un sorriso sornione (che mostrerà più volte durante l’intervista) e una apparente rilassatezza, armi mediatiche diaboliche per cercare di allontanare i cattivi pensieri che aleggiano intorno al processo di arricchimento dell’uranio da parte dell’Iran. Alternando bastone e carota, Ahmadinejad ha poi lanciato chiari e minacciosi moniti all’Occidente (“l’epoca del colonialismo è finita, Francia e Gran Bretagna non si possono permettere di giudicare il mio paese”), seguiti da messaggi di apertura (“gli ispettori dell’Agenzia possono venire a Qom quando vogliono”). Non sono mancati anche tentativi di “arrampicarsi sugli specchi”, come quando King ha cercato di approfondire la questione del mancato rispetto dei diritti umani in Iran e delle sanguinose repressioni nei confronti degli oppositori del regime, ottenendo risposte sfuggenti ed evasive da Ahmadinejad. Assurdo, poi, il contrattacco del leader iraniano, che ha chiesto al presentatore lumi sul sistema carcerario americano e sul numero di prigionieri che muoiono ogni giorno nelle carcere statunitensi, come se King fosse Ministro della Giustizia e potesse rispondere a quelle domande. Ma è su Shoah ed Israele che lo scontro tra i due si è fatto ancora più acceso. Ahmadinejad non ha negato esplicitamente lo sterminio degli ebrei, dando risposte molto vaghe, del genere “sono uno storico, e come alcuni studiosi, ho opinioni differenti in proposito” o “perché non parliamo del genocidio del popolo palestinese?”. King ha mostrato apertamente il suo disappunto per le risposte ottenute, alzando più volte (e vanamente) la voce, scontrandosi contro il muro del silenzio eretto dal despota iraniano. Capitolo Israele: “Crede che sia possibile che l’esercito israeliano bombardi i vostri impianti nucleari?”, questa volta la domanda del settantaseienne giornalista di Brooklyn ottiene una risposta chiara da Ahmadinejad che, assunte le veci di insegnante di geografia, accenna alla differenza di estensione territoriale tra i due paesi, ritenendo Israele troppo piccola per impensierire il “gigante” iraniano. “Potrebbe, signor presidente, potrebbe”, mormora (con malcelata soddisfazione) King. Verrebbe quasi da ridere, se la sua battuta non prefigurasse scenari catastrofici, per il Medio Oriente e il mondo intero.

Adam Smulevich