Il coraggio di un poeta che portò alla luce il massacro di Babi Yar

Nel 1941, kippur fu celebrato il 29 settembre. In molti luoghi, si era nel pieno della guerra. Kiev era sotto l’occupazione tedesca. Proprio nei dintorni, a Babi Yar, nei pressi del vecchio cimitero ebraico, gli Einsatzkommando 4, agli ordini del colonnello delle SS Paul Blobel, massacrarono a colpi di mitragliatrice con la collaborazione della polizia ucraina gli abitanti ebrei. Il massacro andò avanti fino al 3 ottobre. Si calcola che oltre 100.000 corpi caddero gli uni sugli altri nel burrone. Alcune vittime respiravano ancora e fu loro dato il colpo di grazia.
Per lungo tempo il massacro di Babi Yar venne tenuto nell’oblio anche dalle autorità sovietiche, ma qualcosa comunque trapelò.
Venti anni dopo, nel settembre 1961, il giovane poeta russo Evgenij Evtushenko, sconvolto dalla scoperta del tutto fortuita del massacro degli ebrei di Kiev, scrisse «Babi Yar», una poesia pubblicata sulla Literaturnaia Gazeta. Ha scritto in proposito Marek Halter: “Il Partito Comunista condannò immediatamente il poeta e il giornale. Ma era troppo tardi: i corpi delle vittime massacrate a Babi Yar già tornavano a galla e fluttuavano alla luce del sole e sotto gli occhi di tutti, di tutto il mondo, sul Dniepr, il fiume che attraversa Kiev, e sotto le finestre del Cremino, sulle acque della Moscova”.
La poesia di Evtuschenko contribuì ad alimentare la contestazione della storia ufficiale e il regime sovietico reagì con violenza: le opere di Evtuschenko furono messe all´indice. Ciò nonostante, la poesia «Babi Yar» di Evtushenko fu tradotta in tutte le lingue, pubblicata dalla stampa di tutto il mondo e ispirò a Dimitry Shostakovitch la sua celebre tredicesima sinfonia. E dovunque – ancora oggi – risuona il grido del poeta:

«Mi sembra d´essere io un figlio di Israele…
Mi sembra di essere io Dreyfus.
Mi sembra di essere io un bimbo di Bialystok.
Mi sembra di essere io Anna Frank».


Valerio Di Porto, Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane