Roman Polanski

Un tale misfatto non doveva mai essere compiuto, ma fu compiuto. Lo hanno preso dopo tanto, adesso che non ci pensavamo – perché siamo superficiali, perché non ci dedichiamo a essere inesorabili, perché non abbiamo la forza spirituale di operare giudizi – certo, non lo seppelliremmo mai fuori dalle mura. Noi, comodamente, lo avevamo staccato dall’uomo: guardavamo l’artista. Pensavamo solo alla grandiosa scena finale de Il pianista: la guerra è finita, finita la Shoah; le città rase al suolo, e anche gli animi. Da cosa si potrebbe ricominciare, dopo decine di milioni di morti e la guerra che ha ingoiato tutto con un morso? Si potrebbe ricominciare, suggerisce l’artista, dall’artista che torna a suonare. L’ufficiale nazista ascolta il pianista in piedi: inutile, inabile, inconcepibile. Lo spirito dell’arte vola tra le macerie, libero e sublime. Adesso, Polanski è in prigione, le nostre emozioni contraddette. Il tribunale sta per giudicare, domani da cosa si potrebbe ricominciare? Si potrebbe ricominciare, suggerisce l’artista, dall’artista che torna a suonare.

Il Tizio della Sera