Le sette parole

La Torah si apre con sette grandi, decisive parole su cui si è fermata tutta l’ermeneutica ebraica: “In principio D-o creò il cielo e la terra”. Malgrado le interpretazioni divergano, c’è un filo rosso che le attraversa – da Rashi a Maimonide. Il versetto non mira ad una informazione sull’universo, non pretende di fornire contenuti cosmologici. Piuttosto, raccontando la creazione del mondo, rinvia all’avvenire della storia umana. E lancia un messaggio che – sottolinea ad esempio Leibowitz – si oppone a quel che altre culture avevano detto o diranno: che il mondo non è D-o. Perciò si oppone al paganesimo, dove gli dei fanno parte del mondo; ma contrasta anche con il cristianesimo, dove la trascendenza di D-o diventa subito di nuovo immanente attraverso una figura umana che esiste nel mondo. E infine si oppone all’ateismo dove il mondo costituisce la totalità dell’essere, dunque anche D-o. La Torah, per contro, comincia dicendo che il mondo non è D-o e D-o non è il mondo. Perché D-o è al di là, oltre la realtà a cui possono giungere i concetti, al di là dei bisogni e degli interessi dell’esistenza umana. Né il mondo né l’uomo sono essenziali. L’uomo deve ammettere la sua secondarietà, deve imparare a riconoscere – sin dall’inizio – il suo limite. Perché D-o lo precede e lo sostiene.

Donatella Di Cesare, filosofa