Farsi un nome. L’idolatria dei nostri tempi

Se si leggono attentamente i versetti della Torah, dedicati alla storia di Babele, città, torre e nome scandiscono, in un crescendo idolatrico, le tre tappe dell’impresa babelica, della guerra contro D-o. Il “nome” rappresenta l’idolo alla sommità della torre, il coronamento di Babele. Facciamoci un nome… 11, 4: facciamoci un nome, shem, per noi, a nostra gloria, non a gloria di D-o, Hashem. Il nome, come la torre, è una costruzione, una sorta di monumento. Come il Nome di D-o costituisce il Suo Potere, così il nome che gli uomini si sono fatti, si sono imposti e apposti autonomamente, costituisce il loro potere indirizzato contro D-o. A Babele il nome “proprio” umano pretenderebbe di sostituire il Nome Divino. È questo nome l’unico punto di orientamento. Farsi un nome vuol dire assicurarsi fama eterna, eternità. E qui sta l’idolatria. Perché se il Nome di D-o, che si tramanda di generazione in generazione, deve rimanere il Nome eterno, il nome dell’uomo, che è venuto ieri, dovrà essere dimenticato domani. Babelico è il mondo attuale non tanto per le lingue diverse che vi si intersecano, quanto perché “farsi un nome” è considerato il fine legittimo, e anzi indispensabile, dell’autopromozione che guida le azioni quotidiane come i progetti del futuro. Tutto è incentrato sull’idolatria del nome: vedere il proprio nome pubblicato, scritto, pronunciato. Ad ogni costo. Anche a costo di vantare pubblicamente i propri meriti o di annientare l’altro. L’importante è essere presenti, non sentirsi dimenticati e messi da parte. È questa presenza, che dà l’effimero appagamento del successo, l’idolatria suadente e terribile dei nostri tempi.
A un rabbino, che da uno sperduto villaggio stava giungendo a Varsavia – così si legge in un racconto chassidico, ripreso anche da Buber – si fece incontro una folla di adepti annunciandogli esultanti: “Rebbe, rebbe, il suo nome è dappertutto”. E lui, inarcando preoccupato le sopracciglia: “Il mio nome? Perché mai? Che cos’avrò poi fatto di male”?

Donatella Di Cesare, filosofa