Hitler e la campionessa ebrea

Durante gli ultimi Mondiali di atletica leggera a Berlino, è giunta la notizia di un caso sportivo a sfondo sessuale. Caster Semenya, la 18enne sudafricana medaglia d’oro negli 800 metri, è uomo, donna o ermafrodita? Mistero scottante ma allo stesso tempo curioso. Perché Berlino non è nuova a vicende che cavalcano l’androgino confine tra uomo e donna. Così “Berlin 36”, il nuovo film del regista tedesco Kaspar Heidelbach, racconta proprio l’assurda vicenda che, alle Olimpiadi naziste del 1936, ebbe come protagoniste una brillante atleta ebrea tedesca e una compagna di squadra dalle coordinate sessuali indefinite.
Il film, che ha fatto il suo esordio nelle sale tedesche il 10 settembre e che in Germania ha già ricevuto critiche positive – “emozionante” per lo “Spiegel”, “commovente” per la “Zeit” -, ha come interpreti, oltre a Sebastian Urzendowsky e Axel Prahl, la berlinese Karoline Herfurth. Recentemente vista in “The Reader” con Kate Winslet, interpreta la (struggente) storia vera dell’ebrea tedesca Gretel Bergmann.

Un prodigio del salto in alto che però, subito dopo l’avvento di Hitler, viene costretta ad abbandonare la natale Germania. È il 1933 e la diciannovenne Gretel si rifugia in Inghilterra. Dove continua a raggranellare record nazionali nel salto in alto.
Ma ecco che gli americani fanno pressione sui tedeschi. Alle Olimpiadi di Berlino 1936, vetrina della superiorità fisica ariana secondo i piani di Hitler, gli Stati Uniti chiedono espressamente ai tedeschi di inserire nelle loro squadre atleti di origine ebraica. Pena il boicottaggio dei Giochi. Il Führer allora decide di non rischiare. Anche perché nelle precedenti Olimpiadi di Los Angeles gli americani hanno stravinto con 103 medaglie – contro le sole 20 dei tedeschi. Dimostrare la “superiorità ariana” senza gli Usa sarebbe patetico. E così nel 1935 la Bergmann viene reintegrata nella squadra nazista. Gretel si allena strenuamente e nell’ultimo mese eguaglia anche il record tedesco nel salto in alto (1,60 m). Una medaglia alle Olimpiadi sembra assicurata.
Il mendace meccanismo si inceppa però sul più bello. I tedeschi, dopo aver illuso gli americani, danno un clamoroso benservito alla Bergmann, perché “non soddisfatti” delle potenzialità mostrate in allenamento. Il tutto a due settimane dall’inizio dei Giochi. Gretel emigra, stavolta per sempre, a New York.
La sua sostituta sarà la compagna di stanza Dora Ratjen. Un’atleta dagli atteggiamenti spesso insoliti. “Quando facevamo la doccia tutte assieme non si faceva vedere mai nuda”, ricorda proprio la 95enne Bergmann in un’intervista recentemente concessa allo “Spiegel”. “C’era una porticina con un bagnetto, dove solo Dora poteva entrare. ‘Che strano’ pensavamo tutte. Ma non avrei mai immaginato quello che poi ho scoperto dopo molti anni”.
E cioè che Dora, che a Berlino 1936 arriverà quarta, è in realtà un uomo. Molte atlete lo sospettavano. Ma la conferma definitiva arriverà solo due anni dopo. Quando alla stazione di Magdeburgo, di ritorno dagli Europei di Vienna del 1938 – dove ha appena infranto il record mondiale del salto in alto – la Ratjen viene notata da due donne. “Dora”, vero nome Hermann, ha sì la gonna, ma anche quell’accenno di barbetta incolta che gli inglesi chiamano “delle 5 del pomeriggio”. Arrivano medico e polizia e la carriera sportiva di Hermann “Dora” termina miseramente, costituendo l’unico caso accertato di frode sessuale alle Olimpiadi moderne.
“Io invece l’ho scoperto solo nel 1966, dal dentista, mentre leggevo il Time”, dichiara la defraudata Bergmann. Dora-Hermann verrà allo scoperto nel 1957, dichiarando alla stampa come fu “costretto” dai nazisti a travestirsi da donna. Da quel momento, si sa che ha fatto il cameriere ad Amburgo e Brema. Poi quasi più nulla, sino alla morte il 22 aprile 2008.
La Bergmann invece farà di tutto per dimenticare la Germania. Non vi tornerà più sino al 1999 quando, quasi controvoglia, sarà nella città natale di Laupheim per presenziare alla cerimonia di uno stadio locale, a lei intitolato. Ma Gretel avrà dimenticato la sua madrelingua. E per parlare con i suoi (ex) connazionali chiederà un interprete.

Antonello Guerrera