C’è posta per noi. Ma questa volta è fasulla
Fioccano lettere sulle redazioni della stampa ebraica italiana. E il fenomeno di per sé non dovrebbe destare stupore né preoccupazione. Ma le missive che ormai con cadenza regolare e ritmo crescente pervengono in queste ore hanno tutte un’impronta comune.
Sulle prime si potrebbero liquidare come appartenenti a quella nutrita categoria di messaggi che i frustrati solitari talvolta spediscono nella vana attesa di un attimo di notorietà. Quelle lettere che quando sfuggono a una revisione attenta e finiscono in pagina si traducono in una catastrofica figuraccia dei redattori ingenui che le prendono per buone. Distruggono l’autorevolezza delle testate che cadono nella trappola. E portano talvolta a una querela. Dicerie, veleni, pretese rivelazioni di fatti personali risaputi e riferiti ad arte in maniera distorta, paccottiglia, stupidaggini tese a offendere persone e intelligenze. Fin qui niente di nuovo. Di robaccia destinata al cestino delle redazioni che si rispettano se n’è già vista parecchia.
Quello che rende invece la situazione attuale degna di segnalazione al lettore e agli organi competenti è ben altro.
Qualche verifica ha consentito di inquadrare meglio la situazione e di mettere assieme notizie interessanti sugli autori delle missive.
Certo, i mittenti si esprimono esclusivamente utilizzando la posta elettronica, che garantisce (o almeno così loro sperano) la migliore delle coperture. Certo, i nomi d’arte utilizzati per le firme risultano talvolta scippati a persone reali del tutto ignare dell’accaduto e altre volte creati a tavolino sulla base di una sembianza di veridicità. Certo, i mittenti di posta elettronica appartengono tutti alla stessa categoria di webmail. Sono indirizzi che ognuno può facilmente formare da casa propria, utilizzando generalità di fantasia. Certo, tutti gli scriventi, una volta contattati con una garbata risposta interlocutoria, finiscono per dileguarsi e non accettano di uscire dall’ombra. Certo, a una attenta analisi dei testi delle missive la coincidenza del vocabolario, la maniera di esprimersi, persino le imperfezioni lessicali o l’uso della punteggiatura, riportano a un’unica mano, a un’unica mente contorta.
Certo, la delirante intenzionalità di malevolenze oblique e infondate fa pensare a un unico tavolo di regia, a qualcuno che spera di gettare discredito, di sollevare polveroni, di buttare in rissa problemi e argomenti, di scatenare il caos.
Perché tutto questo? Ognuno è libero di trarre le proprie deduzioni e i giornalisti che volessero veder chiaro in questa vicenda hanno ancora parecchio da scoprire. Alla redazione preme intanto sottolineare che chi cerca di disseminare falsità e disinformazione e chi pretende di strumentalizzare o di intimidire a questo fine le testate di informazione degli ebrei italiani perde il proprio tempo e dovrà assumersi l’intera responsabilità del proprio operato.
gv