…antisemitismo

Marina Caffiero, ha curato un libro dal titolo “Le radici storiche dell’antisemitismo” (Viella 2009) che verrà presentato domani all’Archivio di Stato di Roma. In una stagione in cui molti urlano le parole, è bene prendere in considerazione gli argomenti e i temi discussi nei molti saggi che compongono quel libro. Anche perché per molti aspetti rompono un luogo comune oggi consolidato: ovvero il fatto che antigiudaismo religioso e antisemitismo razzista siano fenomeni estranei e non comparabili perché appartenenti a epoche diverse o fondati su logiche differenti. Il tema non è definito dagli effetti o dalle sanzioni, ma dal modo di ragionare dei persecutori. Ha scritto anni fa Yosef Hayim Yerushalmi che “qualsiasi concezione che attribuisce agli ebrei delle mancanze innate contiene “ipso facto” un’essenza razzista. Sono la Spagna e il Portogallo tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’Età moderna che ce ne forniscono l’esempio più sorprendente». Con ciò, aggiunge, “… non intendo affatto stabilire un legame di causalità tra i due fenomeni [l’antisemitismo iberico e quello nazista]. Gli antisemiti e i nazisti della Germania moderna non hanno alcun debito con l’antisemitismo iberico, di cui, probabilmente, non avevano conoscenza. Ma è esattamente questo che costituisce l’interesse e la pertinenza di una loro comparazione: com’è che la società iberica e quella tedesca, così radicalmente diverse per carattere e cultura e distanti nel tempo, abbiano sperimentato reazioni analoghe in presenza di ciò che percepivano come un’intrusione degli ebrei nel loro seno?” E’ una domanda su cui conviene riflettere, anche perché, al di là della retorica del “Mai più” che inonda tutti i discorsi celebrativi, il tema della percezione dell’intrusione e della persecuzione di chi si ritiene sia l’intruso è un sentimento diffuso. Comunque è un sentimento che parla nel nostro tempo presente e che trova risposte deboli, comunque emotive. Ossia inefficaci.

David Bidussa, storico sociale delle idee