Rachel Corrie fa ancora discutere

Proliferano in questa stagione, in Italia e all’estero, gli appuntamenti con la cinematografia israeliana ed ebraica in genere. Ogni fine estate, dal 1980, ha luogo il San Francisco Jewish Film Ferstival (SFJFF). È un appuntamento ormai istituzionalizzato, e molto seguito e apprezzato.
Quest’anno però l’evento è stato sconvolto da una polemica infuocata, iniziata con la dimissioni di cinque membri del comitato del Festival in polemica col direttore Peter Stein. Quest’ultimo si sarebbe reso colpevole di aver inserito della programmazione il documentario “Rachel”, non gradito a una parte della comunità ebraica californiana.
Girato dalla cineasta israelo-francese Simone Bitton, questo documentario ripercorre la vicenda di Rachel Corrie, giovanissima attivista americana rimasta uccisa a ventitrè anni nella striscia di Gaza (nella foto in alto). Nel marzo del 2003, durante una protesta dell’International Solidarity Movement, l’organizzazione in cui militava, per impedire la demolizione di alcune case nei pressi della città di Rafah, fu travolta da un buldozer dell’esercitò israeliano: non si poté fare nulla per salvarle la vita, fu aperta un’inchiesta dalla polizia militare e l’accaduto venne dichiarato un incidente. Sei anni dopo la curiosa documentarista ha voluto “riaprire il caso”: il film è un’inchiesta sulla morte di Rachel, condotta con un buon grado di scrupolo investigativo: include diversi punti di vista e opinioni sugli eventi di quel giorno, vi sono interviste con Avital Leibovitch, portavoce di Zahal, dottori, attivisti amici di Rachel, soldati, civili israeliani e palestinesi, genitori della ragazza. Si vedono anche i video ufficiali dell’esercito. Ma non solo. È anche una riflessione sul senso dell’impegno politico dei giovani, sull’ingenuità di chi muore per i propri ideali. Non manca, pur nel rigore analitico, di forti accenti romantici ed emotivi, che ne fanno, nelle parole della regista stessa “un prodotto artistico più che un reportage”.
La decisione di Peter Stein di proiettare il film e di invitare a parlarne col pubblico Cindy Corrie, la madre di Rachel, ha spaccato in due la comunità ebraica locale, e il contrasto si è via via inasprito. “Siamo profondamente in disaccordo con la direzione che il SFJFF sta prendendo: abbiamo una visione fondamentalmente diversa di quello che dovrebbe essere il servizio del Festival”, recita la lettera dei consiglieri dimissionari. Qualcuno di loro accusa Stein di non aver avuto scrupoli ad “alimentare le divisioni già esistenti in seno alla comunità e a inaugurare una crisi di comunicazione senza precedenti”. Gli è stata attribuita la responsabilità del clima di tensione che si è venuto a creare. Lui di questo si è scusato, in un lettera aperta, ma ha difeso a spada tratta la decisione di inserire il film nel programma, nonché l’invito della signora Corrie, preceduta, per creare contraddittorio, dall’intervento di un portavoce di SF Voice of Israel, un giornale del sionismo di destra americano. “Come organizzazione ebraica culturale ed artistica – dichiara – noi presentiamo film che talvolta contemplano una significativa autocritica, atteggiamento che credo sia una caratteristica distintiva del nostro popolo”. “Rachel peraltro – continua – s’inserisce in una rassegna di 37 film che si concentrano, celebrano o ci informano su Israele, compresi film sui soldati israeliani rapiti, Ghilad Shalit e Ehud Goldwasser, e le loro famiglie. Un’ampia gamma di emozioni, idee, punti di vista e temi: noi crediamo che favorire il dialogo ed essere aperti a più punti di vista sia un valore innato dell’ebraismo, e proveremo a coltivarlo”.
All’inaugurazione del festival il risoluto direttore si è imposto con un discorso molto duro: ha ribadito la sua decisione e ha diffidato gli spettatori dal “mancare di civiltà nelle discussioni sul film, sia dentro che fuori dal teatro”. Ha richiamato al democratico rispetto reciproco delle diverse opinioni, espresso la speranza di “ricucire le ferite aperte da un dibattito rancoroso”, ma ha concluso il suo intervento ricordando che “chi avesse mancato di cortesia in qualunque momento del film o del dibattito sarebbe stato immediatamente allontanato”. Questo non è successo, tutto è andato liscio. Stein è ancora il direttore. Alcuni finanziamenti sono stati sospesi, ma l’istituzione non è in pericolo di vita.
Il documentario sta iniziando a fare il giro del mondo e continua a raccogliere riconoscimenti artistici e spietate critiche. E’ stato presentato anche in Italia nell’ambito del festival di Internazionale a Ferrara. Comunque la si pensi in merito non è un film che lascia indifferenti e non può non far pensare, emozionare, lasciare perplessi, discutere.

Manuel Disegni